LLo strazio per il corpo martoriato di Giulio Regeni non ha requie, né cessano le sdegnate reazioni ai comportamenti oltraggiosi del governo egiziano e all’atarassia di quello italiano. Di possibili intrecci e retroscena, degli interessi economici implicati, di ipotetiche faide interne egiziane e dei loro collegamenti europei, ha scritto lucidamente Giorgio Meletti su Domani del 14 dicembre. Chi vivrà vedrà. Intanto Giulio Regeni non c’è più. Nell’attesa che qualche gesto salvi la nostra dignità, prendiamo qualche appunto. Nel 2014 un referendum ha approvato una nuova costituzione della Repubblica araba d’Egitto che a detta di molti osservatori ha il pregio di ampliare la sfera dei diritti e delle libertà. Ribadisce la fede nella democrazia, nel pluralismo, nel diritto dei cittadini alla libertà, alla dignità umana e alla giustizia sociale. Negli articoli 54 e seguenti si parla di libertà personale come diritto naturale inviolabile e si dichiara che nessuno puo’ essere arrestato, ricercato, o subire alcuna restrizione se non sulla base di un ordine giudiziario motivato. Chi è fermato ha diritto a contattare l’avvocato e confrontarsi con le autorità. inquirenti entro 24 ore, deve essere trattato in maniera che tuteli la sua dignità umana, “e non puo’ essere torturato, intimidito, impedito o costretto fisicamente o moralmente”.  

>Non ci si chieda se gli estensori di queste norme sono attenti lettori di Beccaria. Disposizioni simili, sempre più dettagliate, sono presenti in tutte le costituzioni dell’ultimo mezzo secolo, compresa quella cinese che garantisce, oltre al suffragio universale, libertà di parola, di stampa, di assemblea, di associazione e di manifestazione, nonché di culto. Tutte queste monotone disposizioni hanno la stessa matrice. Già nel 1215 la “magna charta” stabiliva che “Nessun uomo libero può essere arrestato, imprigionato [...] o ferito in alcun modo, eccetto dal giudizio legale dei suoi pari e dalla legge del Paese”. Il dispositivo per il quale il giudice ordinava alle autorità di polizia che detenevano una persona (ne “avevano il corpo”: habeas corpus ne è la contrazione) di portarla al proprio cospetto per verificare la liceità della detenzione, nel 1679 dovette essere meglio codificato appunto con l’ Habeas Corpus Act  perché troppi erano gli abusi.

>Da lì fu tutto un ripetersi. L’articolo 7 della Dichiarazione 1789 stabilisce che “Nessun uomo può essere accusato, arrestato o detenuto se non nei casi determinati dalla Legge…”.  La Dichiarazione Universale dei diritti del 1948 all’articolo 9 stabilisce che “Nessun individuo potrà essere arbitrariamente arrestato, detenuto o esiliato…”. Così si è costruito il paradigma costituzionale di un mondo unico. Una cosa però è certa: se quei princìpi nel mondo democratico occidentale hanno vigore – anche se possono soffrire delle serie alterazioni, come mostrano le detenzioni a Guantanamo – in molti paesi, in Asia, Africa, America Latina, Europa dell’Est, a quei princìpi solennemente sanciti non corrisponde alcuna concreta realtà. Arresti arbitrari, rapimenti, torture tengono seguito a ogni sorta di limitazione delle libertà, di pensiero, di manifestazione, di stampa, di riunione, di associazione. Vittime ne sono i cittadini di quei paesi, più raramente gli stranieri, che solitamente si muovono entro circuiti – siano economici o turistici – che non coinvolgono la sfera dei diritti. In sostanza, viaggiano senza ingerirsi negli affari interni dei paesi visitati. 

>In questo panorama di doppie verità che regge l’ordine internazionale - l’omologazione formale ad un unico testo costituzionale e le pratiche reali – le attività di studio e di ricerca occupano un posto particolare, perché per sua natura la ricerca è alla base del pensiero critico moderno, perché ha carattere cosmopolita, e non contempla limitazioni politiche. Dai tempi di Galileo fino al progetto Manhattan o agli esperimenti eugenetici, lo scontro tra la ragione della ricerca e le ragioni della politica non ha mai trovato soluzione. Così puo’ accadere che un giovane italiano inserito in un gruppo universitario britannico svolga in Egitto delle ricerche “partecipate” su temi politicamente “sensibili” – riguardanti l’organizzazione sindacale dei venditori ambulanti - e addirittura pubblichi articoli di indagine e denuncia in un quotidiano d’opposizione del proprio paese, senza godere di alcuna protezione e nemmeno informazione dei rischi cui è esposto. Tutti confidano, lui, le autorità accademiche britanniche, le autorità politiche del suo paese, nel fatto che a tutelarlo siano i principi dello stato di diritto. Se sarà vittima di violenza e torture e morte, le autorità giudiziarie del suo paese possono agire nel loro ambito, mentre il suo corpo diventerà ostaggio delle ragion di stato, o di misteriosi intrighi internazionali. Un tempo la flotta di sua maestà era pronta a muoversi a soccorso di un cittadino britannico ovunque nel mondo. Non sono quei tempi e non abbiamo una grande flotta. Anche a costo di ferire la bella idea della ricerca che si muove libera attraverso i confini, si procurino informazioni, regolamenti, tutele, limiti e controlli ai nostri giovani che coraggiosamente si muovono nel mondo.

© Riproduzione riservata