Solo tredici su ventisette paesi Ue hanno già ratificato l’istituzione del Recovery Fund. Fra i maggiori l’Italia è stata fra i primi e lo hanno fatto la Francia e la Spagna. In Germania, dopo un difficile dibattito parlamentare, è spuntato uno stop della Corte Costituzionale, secondo la quale il presidente Steinmeier dovrebbe attendere l’esito di un ricorso presentatole da un economista di estrema destra.

La cosa potrebbe finir presto in nulla ma potrebbe anche prender tempo. Insieme alle difficoltà che la ratifica sta incontrando in altri paesi, come la Polonia, crea incertezza su un elemento cruciale della politica europea per fronteggiare la pandemia.

Già nel maggio scorso la Corte mise in dubbio la legittimità del Quantitative Easing della Bce, proprio quando questa cominciava il programma aggiuntivo di acquisti di titoli specificamente disegnato per combattere la pandemia.

Fu una pronuncia stonata e fuori luogo che non ebbe conseguenze sulle decisioni della Bce. Ebbe anzi un effetto paradossalmente positivo sul varo del Recovery Fund perché l’attacco al sostegno monetario dell’economia favorì il consenso dei Paesi al sostegno da parte del bilancio europeo. Siamo ora ai passaggi finali per il varo definitivo di questo sostegno.

A suscitar nemici di New Generation EU (Ngeu) non è la sua immediata e temporanea funzione di aiuto all’economia colpita dal Covid. E’ che si tratta di un provvedimento che per alcuni anni amplia il bilancio comunitario, lo porta a prelevare nuove “risorse proprie”, cioè nuove tasse europee, come quella sul settore digitale, lo rende redistributivo a favore dei paesi più in difficoltà con la pandemia, l’indebitamento e l’occupazione, crea un disavanzo del quale promuove il finanziamento tramite l’emissione di titoli di debito comune europeo.

Non è improbabile che alcune di queste grandi novità rimangano in eredità al bilancio dell’Ue anche dopo la fine del programma anti-pandemico.

Se così fosse Ngeu risulterebbe una tappa fondamentale nell’evoluzione dell’integrazione economico-finanziaria dell’Europa. Chi osteggia tale integrazione affila le armi prendendosela con le misure di emergenza in quanto precorritrici di possibili futuri sviluppi.

Mentre circolava la notizia del tentativo di blocco della Corte tedesca, Mario Draghi, in una conferenza stampa che illustrava gli esiti del Consiglio europeo, stava ribadendo che è il momento di emettere tutto il debito “buono” che occorre.

Stava anche spiegando che la competitività economico-finanziaria dell’area dell’euro nel mondo è legata al completamento della sua unione bancaria e del mercato dei capitali e al finanziamento di un più ampio bilancio comunitario con emissioni regolari di eurobond, senza le quali lo sviluppo del ruolo globale dell’euro è idea velleitaria.

Ma la sua spiegazione aveva il tono di elegante scetticismo di chi non vuol nascondere una buona conoscenza delle difficoltà a realizzare tutto ciò, compresi gli ostacoli posti da sovranismi economici assurdi e autolesionisti.

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