Norberto Bobbio insegnava che per mantenere il senso della storia è necessario ricordare la lezione dei classici. Per questo abbiamo apprezzato l’interpretazione delle vicende della sinistra italiana proposta da Piero Ignazi su Domani del primo febbraio, sulla base dell’insegnamento di Stein Rokkan.

Negli anni Sessanta il politologo norvegese ha costruito una mappa geopolitica dell’Europa occidentale mettendo in relazione le vicende dei partiti con le principali linee di frattura della società. Noi siamo, con Giovanni Sartori, per una interpretazione non deterministica della "mappa di Rokkan", in virtù della quale consideriamo rilevanti le variabili eminentemente politiche, come l'autonoma capacità dei partiti di insediarsi e radicarsi nei contesti locali.

Questa prospettiva è utile nello studio del caso italiano: è vero che una tradizione statuale debole e il sovrapporsi di linee di frattura nella società crea maggiori opportunità di crescita per i comunisti, ma in Italia l'esperienza del fascismo e la Resistenza risultano fasi decisive.

Non era scontato che il duello a sinistra si risolvesse a favore dei comunisti: le elezioni del 1921, avvenute dopo la scissione di Livorno e in un clima già caratterizzato da forti tensioni, mostrano un Psi ancora primo partito nel paese e in grado di sovrastare nettamente il Partito comunista d’Italia.

Sarà il fascismo a distruggere e sradicare l'esperienza socialista, la cui importanza deve sempre essere considerata a livello storiografico e politologico, per l' opera di socializzazione popolare alla democrazia.

I riferimenti alle analisi compiute dalle scienze sociali sulle subculture politiche territoriali sono di grande aiuto: riguardo alla subcultura "rossa" dell'Italia centrale Carlo Trigilia evidenzia gli elementi di continuità fra il socialismo pre-fascista e la presenza del Pci nell' Italia repubblicana.

Nelle sue ricerche sulla Toscana Mario Caciagli preferisce parlare di "rifondazione" della cultura politica “rossa”, per sottolineare la novità costituita dalla inedita capacità dei comunisti di radicarsi nelle campagne, frutto del lavoro di interlocuzione con il mondo contadino durante la Resistenza antifascista.
Concordiamo con Ignazi sul fondamentale ruolo di ancoraggio alla democrazia svolto dalla Democrazia cristiana. Tuttavia, leadership straordinarie quali quelle di Alcide de Gasperi e Aldo Moro non furono tanto «uno di quei miracoli della sorte che ogni tanto ci assiste», quanto il frutto migliore di un mondo "bianco" che seppe trarre forza e alimento dalla plurisecolare esperienza della Chiesa mantenendo margini preziosi di autonomia politica.

Ma, questo è il punto, tale opera di salvaguardia della democrazia italiana sarebbe stata possibile se contemporaneamente il Pci non avesse incanalato e congelato spinte rivoluzionarie e anti sistema? Ossia se - lo ripetiamo: pur con tutti i limiti della sua storia - non avesse agito anch' esso come ancora della democrazia italiana?

Le sorti della Grecia tra gli anni Quaranta e Settanta ci aiutano a ricordare quale poteva essere il nostro infausto destino.

Le mobilitazioni dell’establishment 

Non tutte le mobilitazioni anti establishment sono da considerare anti sistema o anti democratiche: a volte possono essere critiche pienamente legittime dell'operato delle classi dirigenti.

Fra i tanti casi eterogenei di fiammate protestatarie, Ignazi richiama le spinte secessioniste e l'insorgenza grillina.

A noi risulta difficile considerare questi fenomeni come prodotti dalla stessa "faglia di distacco, fiducia e rifiuto" da cui traeva spunto il voto al Pci. Tanto più che si tratta di fenomeni che nascono in contesti territoriali differenti rispetto a quelli in cui il Pci era egemone.

Infatti, le spinte secessioniste si sono sviluppate nel Nordest ex "bianco" per effetto del localismo antistatalista tipico della cultura politica diffusa in quest'area, mentre il Movimento cinque stelle nel 2018 conquista il 48 per cento dei voti nel Sud. Sono entrambe eredità del Pci? Per nulla.

Sono fenomeni che nascono dalle difficoltà di adattamento del sistema politico italiano alle sfide della contemporaneità. E dalle mancate risposte che dalle forze politiche, comprese quelle di centro-sinistra, sono state date al crescente disagio economico e sociale.

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Pur con molte ombre, ma anche con qualche luce, i partiti del primo periodo repubblicano erano riusciti a gestire le molteplici linee di frattura che attraversano il nostro paese, mentre l’attuale sistema dei partiti fatica moltissimo a rappresentare una società "più mossa ed esigente".

Per tale motivo, periodicamente, il sistema politico formale è costretto a rivolgersi a personalità esterne per gestire le proprie crisi, come sta accadendo in queste ore con Mario Draghi.

L’incarico a Draghi non è una scelta “tecnica”, bensì politica, poiché politico risulta ogni atto che riguardi le decisioni collettive: esso rivela l’inadeguatezza del sistema dei partiti nato dopo il collasso delle formazioni storiche fondatrici della Repubblica. È una questione che ci accompagna da trent’anni e che merita adeguate riflessioni.

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