Forse No. Forse il capo dello Stato non ha conferito a Mario Draghi il mandato di commissariare un sistema dei partiti impazzito evitando di piegarsi alle sue logiche.

Credo che al Quirinale per qualche mese ancora sieda un uomo che verso i partiti e le culture politiche non ha mai assunto toni da liquidatore.

Casomai a quel compito hanno atteso altri e con diversi obiettivi. Ma Sergio Mattarella quella deriva ha saputo scansare con perizia lungo l’intera sua biografia e pure in questo complicatissimo settennato che arriva all’ultima curva.

Ricordare i motivi dell’arruolamento di Draghi è superfluo, basti dire che a fronte di una vecchia maggioranza azzoppata da Italia Viva bisognava fornire ampie rassicurazioni agli italiani e all’Europa circa il compiersi del piano vaccinale e l’utilizzo corretto dei fondi in arrivo da Bruxelles.

Così è stato, con un esecutivo di emergenza sorretto da forze che attorno agli snodi di economia, mercato del lavoro, diritti civili, alleanze internazionali, marcavano e marcano dissensi noti, spesso radicali.

Una maggioranza ibrida, inutile trasfigurare la realtà, di questo si è trattato. Esito in parte obbligato per una legislatura nata come sappiamo, senza una chiara espressione politica dotata dei numeri per governare e destinata a conoscere tre versioni diverse e opposte di indirizzi e strategie.

Detto ciò, non pare convincente risolvere l’anomalia di adesso in chiave caricaturale prima che manichea, col premier unico depositario di saggezza nelle scelte di merito e una babele di lingue ad agitare rivendicazioni scomposte e ribalde buttate lì solamente per “vedere l’effetto che fa” in una ricerca ossessiva di visibilità. Insomma Draghi-Ulisse e i partiti tutti a ricoprire la parte dei proci, magari con la tacita speranza di assistere presto o tardi alla catarsi del Re dell’isola infilzare la torma dei sabotatori con arco e frecce, naturalmente simboliche.

In questo senso, alla vigilia di una sessione di bilancio tutt’altro che banale per contenuto e risorse disponibili, gettare nello stesso calderone richieste assai differenti per ispirazione e impatto non aiuta a orientarsi nel modo giusto.

Le virtù del compromesso

Per dire, trovo pure io che la riforma del catasto sia un atto di giustizia redistributiva, ma sul punto della delega fiscale mi pare sia stato lo stesso Draghi “decisionista” a rassicurare il paese circa il fatto che nessun contribuente avrebbe pagato un euro in più, il che a fronte di una evasione stimata nell’entità nota non pare propriamente un messaggio di equità.

Sulle pensioni una cosa è percorrere la strada di quota 100 con le iniquità che ha generato, altro riprendere l’idea alla base dell’Ape sociale, dunque distinguere quelle categorie di lavori gravosi e pesanti per i quali è doveroso prevedere tempi e finestre di uscita compatibili col diritto alla salute di quelle persone.

 Si potrebbe proseguire ragionando di una legge sulla rappresentanza in un paese che conta quasi un migliaio di forme contrattuali, un terzo delle quali riguarda meno di cento lavoratori.

O una riforma in senso universale degli ammortizzatori che copra l’intero spettro di categorie compresi quei lavoratori autonomi più penalizzati dal combinarsi della vecchia crisi coi recenti lockdown. E ancora le richieste sul superamento del gender gap o l’obbligo a prevedere da qui in avanti che ogni nuovo contratto sia comprensivo di attività periodiche di formazione e aggiornamento. 

Solo per dire, pensando ai prossimi mesi, quanto poco serva consegnare palazzo Chigi a un pianeta separato dal mondo terreno dove non poche differenze certo attraversano la maggioranza, ma sono proprio le singole forze e la loro coerenza a dover aiutare il capo del governo nella ricerca delle sintesi migliori e più virtuose.

Non dico che il panorama osservato da fuori sia sempre dei più confortanti e ogni giorno si porta in dote la propria pena.

Ma dopo e oltre la pandemia ci sono forze nel campo largo del centrosinistra che le maniche se le sono rimboccate, e da tempo. Descrivere il paesaggio come un tutto uniforme temo non convenga a nessuno. Né ai partiti che ancora resistono, e non a Mario Draghi che del loro consenso, piaccia o meno, avrà ancora bisogno.  

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