Una delle grandi tristezze di questo tempo è il dubbio che, alla fine di tutto, ne uscirà a brandelli lo Stato di diritto, forse non nella sua effettiva tenuta, ma sicuramente nella coscienza generale.  Basta guardare alla reazione che – specie sui social – suscitano gli inviti ad una riflessione meno superficiale riguardo al contenuto e alla forma delle misure anti-pandemiche.

Da questo punto di vista, un campo minato, ad esempio, è quello della libertà di culto: proprio da questo giornale Francesco Clementi ne illustrava il carattere fondativo di ogni altra libertà. Difficile però far capire a quelli di «perché per andare in palestra devo avere il green pass e in chiesa no» che c’è un gerarchia di valori costituzionali, e che il diritto ad andare in chiesa, in moschea, in sinagoga, viene molto prima del diritto ad andare in palestra (ammesso che esista), tanto che – per fare un esempio – la libertà di circolazione può essere limitata ma la libertà di culto no.

E poi c’è l’altra grande vittima: il principio di eguaglianza. Potenziale vittima dell’acrobatico ritaglio sempre più bizantino tra obbligati e non obbligati, vaccinati e non vaccinati, green pass e non green pass, tu sì e tu no. Qui il grande equivoco, tra gli altri, è che il principio di eguaglianza possa soccombere nel bilanciamento col diritto alla salute.

Ora, a parte il fatto che in un bilanciamento non dovrebbe “soccombere” nessuno, va chiarito che in realtà il principio di eguaglianza non entra propriamente nel bilanciamento tra diritti o valori, ma ne costituisce una regola di funzionamento. Così nel bilanciamento tra diritto alla salute (inteso come interesse della collettività) e principio di autodeterminazione («mi vaccino o no?»), il principio di eguaglianza ci dice che il legislatore può far prevalere ora l’uno ora l’altro, ma senza introdurre disparità di trattamento che non abbiano un fondamento ragionevole.

Allora, ad esempio, il giudice costituzionale francese può ritenere che non sia ragionevole la disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato senza green pass e quelli a tempo indeterminato. Allo stesso modo, la Corte costituzionale italiana potrebbe ritenere che non sia ragionevole la disparità di trattamento tra insegnanti della scuola dell’obbligo e professori universitari (perché gli uni sospesi senza green pass e gli altri no?), e così via.

E poi c’è la questione del modo, delle forme, prima vittima sacrificale nella cultura costituzionale pop. Autorevoli e temerari giuristi hanno già sostenuto che la geografia del green pass richiederebbe un fondamento legislativo, senza che sia rimessa completamente allo strumento del decreto legge. L’art. 32 della Costituzione, infatti, ci dice che «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», e la formulazione sembrerebbe richiedere che perlomeno il fondamento di un simile obbligo sanitario sia contenuto in una legge formale approvata dal Parlamento.

Ed è inutile negare che il certificato verde obblighi una certa categoria di soggetti ad un trattamento sanitario, in specie, alla vaccinazione, posto che la clausola per cui si può far ricorso ad un tampone entro un tot di ore è destinata a morire di impraticabilità, in molte circostanze.

Quella dell’art. 32 si chiama riserva di legge: uno strumento con cui la Costituzione, appunto, riserva la disciplina di una certa materia alla legge (dunque: al Parlamento), escludendo che possa intervenire solo il governo con i suoi atti: è una tutela concreta per i cittadini.

Ai miei studenti chiedo: perché dovreste sentirvi più tutelati se certi obblighi possono venirvi posti solo dal parlamento con legge e non anche dal governo con un proprio decreto o regolamento? Ci arrivano tutti quasi subito: perché la legge è approvata con un procedimento pubblico, aperto, trasparente, cui partecipano tutte le parti politiche, anche quelle di opposizione, o minoranza; al contrario, gli atti del governo sono approvati ad esito di una riunione segreta, da un organo in cui ci sono rappresentanti solo della maggioranza politica.

Ecco perché l’art. 32 chiede che sia la legge ad obbligare a un determinato trattamento sanitario: perché se mi devono costringere a un trattamento così invasivo (puoi non farlo, ma se non lo fai entro cinque giorni ti togliamo lo stipendio), beh, io preferisco che a farlo sia il parlamento, e non altri, per i motivi di cui sopra.

Strumento di garanzia dei cittadini, la riserva di legge è infatti anche un divieto di disimpegno per la classe parlamentare, che non può fuggire dinanzi alla responsabilità politica che gli è propria, lasciando che sia il governo a fare il lavoro sporco.

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