Due iniziative del governo di Giorgia Meloni e della sua maggioranza in due settimane sono la prova di una direzione politica ben precisa.

Una sequenza ravvicinata che individua nello strumento giudiziario del reato universale l’arma di cui l’esecutivo intende servirsi per raddrizzare il mondo e per dare un messaggio chiaro (questa è l’espressione più ricorrente che la presidente del Consiglio usa nelle conferenze stampa in cui vengono presentate modifiche al codice penale per decreto legge).

Prima il reato di “scafismo”, alla repressione del quale le nostre autorità si dedicheranno senza sosta in tutto il globo terraqueo tranne poi non intervenire in flagranza di reato per salvare le vittime di tale delitto se questo viene commesso fuori dalle acque territoriali o dalla Sar italiana.

Poi la pretesa di punire i cittadini italiani che ricorrono alla gestazione per altri anche se il fatto avviene in Paesi in cui la pratica è legale e regolamentata.

Mentre Meloni e il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi rivendicavano il primo ed Eugenia Roccella si associava alla richiesta di calendarizzazione della proposta di legge per istituire il secondo, il sottosegretario e magistrato Alfredo Mantovano non stava con le mani in mano.

Gli stupefacenti

Già coautore della legge italiana sugli stupefacenti, la famigerata Fini-Giovanardi, anziché riflettere sui danni sociali evidenti a distanza di trent’anni da quando contribuì a concepire la norma, negli stessi giorni è andato a Vienna alla Commissione sugli Stupefacenti delle Nazioni Unite per dire che tutte le droghe sono uguali e costituiscono una minaccia per la salute e per la sicurezza ribadendo come se gli ultimi trent’anni non fossero passati la ricetta della guerra alla droga.

Tutto ciò chiarisce un grande equivoco politico di fondo sul tema centrale della Giustizia e della sua riforma nel nostro Paese.

A inizio legislatura avevamo ascoltato i buoni propositi e le linee programmatiche del ministro Nordio in buona parte condivisibili per chi scrive e ribadite in una mozione approvata da un’amplissima maggioranza della Camera negli stessi giorni del decreto Cutro.

In quella mozione, a prima firma del deputato di Azione, Enrico Costa ma che ha avuto il parere favorevole del governo, si indicava con chiarezza la necessità di «recuperare a pieno i valori costituzionali che troppe volte in questi anni sono parsi indeboliti, a invertire la tendenza al panpenalismo, ricondurre l’ordinamento giuridico ai principi dell’extrema ratio del diritto penale, nonché ai principi della tassatività delle fattispecie penali, oggi minati dalla proliferazione di norme incriminatrici penali speciali, promuovendo un intervento organico volto a prevedere la depenalizzazione delle violazioni che non ledono gli interessi collettivi sino al punto da meritare una sanzione penale».

E poi a limitare l’abuso della custodia cautelare oltre che a meglio tutelare la presunzione d’innocenza impedendo la deriva del processo mediatico. Il pensiero di chiunque abbia ascoltato con un minimo di onestà intellettuale quel dibattito non poteva non andare al reato di rave e alle ultime due trovate “universalistiche” che hanno definitivamente oscurato la figura del giurista liberale Carlo Nordio, ministro della Giustizia di un governo la cui azione non ha nulla di liberale, di garantista, di riformatore.

La maternità surrogata

I motivi che rendono il reato universale di gestazione per altri una boiata incostituzionale li avevamo espressi in un parere della Commissione Affari costituzionali della Camera che avevamo sostenuto in particolare grazie al collega Stefano Ceccanti opponendoci alla prosecuzione dell’iter di due analoghe proposte a prima firma Meloni e Mara Carfagna nella scorsa legislatura.

Il codice penale infatti definisce come condizione per la punibilità del cittadino o dello straniero la commissione in territorio estero di gravi reati quali i delitti contro la personalità dello Stato italiano, delitti di contraffazione e di falsità in sigilli e monete, delitti commessi da pubblici ufficiali con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti alle loro funzioni; lo stesso consente l’applicazione della legge penale italiana in relazione a reati previsti da convenzioni internazionali.

Inoltre la legislazione vigente punisce la surrogazione di maternità con la reclusione da 3 mesi a 2 anni cioè con limiti edittali significativamente più bassi rispetto a quelli che oggi consentono la perseguibilità dei reati commessi all’estero; il reato di surrogazione di maternità non è oggetto di convenzioni internazionali che ne prevedano la procedibilità universale e che, anzi, tale pratica è ritenuta lecita in altri ordinamenti, anche dell’Unione europea; l’art. 49 della Carta dei diritti afferma che «nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale».

Per questi motivi avevamo poi predisposto con il collega Costa una pregiudiziale di costituzionalità in plenaria che sarà necessario ripresentare qualora le attuali proposte di legge dovessero arrivare in aula. La pregiudiziale è basata sugli stessi argomenti sopra citati a cui si aggiungono pronunce giurisprudenziali della Corte Costituzionale, della Corte di Cassazione e sentenze Cedu.

Fin qui il quadro è già disastroso per l’uso del codice penale che il governo fa ma è accaduto qualcosa che lo rende ancora più inquietante. Mentre era di ritorno da Vienna l’instancabile sottosegretario Mantovano metteva mano anche al Codice dei crimini universali mozzandolo a metà.

Chantal Meloni, professoressa di Diritto internazionale alla Statale di Milano, si è detta esterrefatta per questa decisione del governo tanto inspiegabile quanto inaspettata.

La giurista fa parte della Commissione voluta da Marta Cartabia e ereditata da Nordio per procedere alla stesura del Codice dei crimini universali, lo strumento che a - venticinque anni dall’istituzione della Corte penale internazionale e dall’adesione dell’Italia al suo Statuto - consentirebbe alle nostre autorità di perseguire i veri reati universali, i crimini di guerra, di aggressione, i crimini contro l’umanità, il genocidio e il genocidio culturale.

Quest’adeguamento tardivo del nostro ordinamento che consentirebbe di considerare tali reati nella loro piena gravità di crimini commessi in un contesto di attacco esteso e sistematico (come quelli commessi da Putin e di Lvova-Belova) sembrava raggiunto quando in extremis il governo ci ha ripensato tagliando pare la parte dei crimini contro l’umanità e di genocidio. [Questo taglio sembrerebbe motivato dal timore che alcuni di quei reati possano essere contestati a membri del governo italiano con riferimento ad alcune misure per il contrasto all’immigrazione]

La morale è più che evidente, da una parte governo e maggioranza ad uso propagandistico delirano di reati universali improbabili o che non trovano riscontro nel diritto internazionale, dall’altra rifiutano di completare l’adesione alla principale giurisdizione penale nata per versare e perseguire i più gravi tra questi crimini perpetrati nel mondo.

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