«Le regioni vanno in ordine sparso», ha detto il presidente del Consiglio, Mario Draghi, nella sua prima conferenza stampa. «Per le vaccinazioni le regioni sono molto difformi». Qualcuno ha considerato questo passaggio come una “strigliata” alle regioni. Di fatto, se esse procedono in maniera disomogenea, alcune responsabilità vanno imputate anche al governo.

Il piano del commissario 

Il 13 marzo è stato diffuso il piano del commissario straordinario - il generale Francesco Paolo Figliuolo - per l’esecuzione della campagna vaccinale nazionale.

Sul sito del governo si legge che «il documento, elaborato in armonia con il piano strategico nazionale del ministero della Salute» - adottato con decreto del ministero della Salute del 2 gennaio scorso - «fissa le linee operative per completare al più presto la campagna vaccinale. La governance sarà accentrata a fronte di una esecuzione decentrata», seguendo tre direttrici: «approvvigionamento e distribuzione» di dosi; «monitoraggio costante dei fabbisogni con interventi mirati, selettivi e puntiformi sulla base degli scostamenti dalla pianificazione», con una riserva vaccinale pari a circa l’1,5 per cento delle dosi, «per poter fronteggiare con immediatezza esigenze impreviste» e rinforzi del sistema di Protezione Civile e della Difesa in caso di difficoltà; «capillarizzazione della somministrazione, incrementando la platea dei vaccinatori e il numero di punti vaccinali».

Nel piano si afferma pure che «un impulso sincrono e sinergico da parte di tutti gli attori lungo le tre linee operative consentirà di ottimizzare e velocizzare l’intero processo vaccinale». Ma come potrà il commissario verificare che gli attori regionali procedano con l’efficienza che serve?

Esistono criteri e paletti vincolanti, idonei da un lato a garantire che le regioni operino in maniera efficiente e omogenea su tutto il territorio nazionale, dall’altro lato a consentire a livello centrale di verificare che le regioni stesse procedano con la speditezza che serve?

Chi controlla l’operatività regionale?

Il piano del commissario prevede date precise, entro le quali raggiungere obiettivi prefissati, e cioè «il numero di 500 mila somministrazioni al giorno su base nazionale» entro la terza settimana di aprile, arrivando a ottenere l’immunità dell’80 per cento della popolazione entro la fine di settembre.

Se i traguardi della campagna vaccinale sono chiari a livello nazionale, altrettanto non può dirsi a livello regionale. Innanzitutto, la decisione circa le priorità delle persone da vaccinare non solo non è stata trasparente e chiara, ma nemmeno è stata affidata a un atto cogente.

La scelta circa chi ha più probabilità di non ammalarsi, perché vaccinato prima di altri, è rimessa a mere raccomandazioni del ministero della Salute (“Raccomandazioni ad interim sui gruppi target della vaccinazione”). E se quelle adottate l’8 febbraio scorso hanno consentito alle regioni, ad esempio, di inserire nella categoria “altre categorie essenziali” soggetti decisi discrezionalmente – dando luogo a quello che è stato definito “corporativismo vaccinale” - le raccomandazioni aggiornate al 10 marzo, che eliminano tale categoria, non sono ancora state pubblicate sul sito del ministero della Salute.

Quindi, al momento non è ancora chiaro come le regioni si stiano effettivamente conformando al nuovo piano. Se, come Roberto Speranza ripete nelle interviste, la priorità è mettere in sicurezza i più fragili, sarebbe bene che il ministro imponesse tale obiettivo con uno strumento normativo adeguato e ne verificasse il rispetto.

Vincolare le regioni a risultati

A livello centrale non sono stati fissati obiettivi nei numeri di vaccinazioni che ci si aspetta siano effettuate a livello regionale in un lasso di tempo definito, per rispettare il piano nazionale. Manca una chiara indicazione a ogni regione circa i risultati da raggiungere a scadenze prefissate, tenuto conto delle dosi consegnate, della composizione della popolazione da vaccinare, del numero dei vaccinatori presenti nella regione e di eventuali elementi ulteriori. Solo la previsione di target da rispettare entro termini precisi renderebbe chiaro quando serve l’intervento del commissario: egli può – tra le altre cose - anche sostituirsi alle regioni (articolo 120 della Costituzione) «in caso di mancata attuazione del piano o di ritardo», come previsto dall’ultima legge di Bilancio (art. 1, comma 458).

Ma se non ci sono traguardi regionali da raggiungere, e che non sono rispettati, i poteri sostitutivi del commissario mancano di un presupposto essenziale per essere esercitati.

Il monitoraggio incompleto

Sul sito del governo è possibile monitorare in quale percentuale le regioni utilizzano le dosi di vaccino consegnate. Ma questo elemento, da solo, non può essere reputato un parametro di efficienza adeguato. Alcune regioni, nei propri piani vaccinali, si sono date scadenze temporali per l’inizio della somministrazione a diverse categorie, ma non è chiaro secondo quali criteri. Pertanto, la situazione resta variegata.

In conclusione, inutile stupirsi della disomogeneità regionale, se dal centro non vengono definiti paletti vincolanti. «Il controllo è accentrato e l'esecuzione decentrata, andrò a controllare di persona», ha affermato qualche giorno fa in un’intervista il commissario straordinario per l’emergenza, con riferimento alla attuazione del piano vaccinale. Ma per un effettivo controllo il generale Figliuolo, come ha fissato obiettivi a livello di Paese, così dovrebbe fare a livello regionale.

Solo in questo modo egli potrà avere immediata evidenza circa ciò che non funziona, dei «colli di bottiglia» che talora ha citato. Stabilire in maniera precisa e cogente le categorie da vaccinare, definendo indicatori di risultato cui vincolare le regioni nella somministrazione dei vaccini, sarebbe il primo passo. Anzi, avrebbe dovuto esserlo da tempo.

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