Il fact checker della CNN Daniel Dale ha affermato nelle scorse ore che «non vi è stata una sola affermazione di Trump a partire dall’election day che non fosse totalmente falsa».

Quando si riflette sulla sfacciata attitudine a mentire dei leader populisti di ogni latitudine, si tende a porre l’accento sulla malafede. Sul fatto cioè che costoro spesso mentano sapendo di mentire, il che naturalmente accade.

La preoccupazione più grave la suscitano però quei casi in cui chi diffonde affermazioni false - a volte ridicole - e conoscenze pseudotecniche, non ha solo un intento manipolatorio, ma basa le sue scelte – oltre che la sua propaganda – su questi dati falsi. In altri termini: ci crede davvero. Ciò dipende da numerosi fattori, alcuni dei quali riconducibili alla miopia politica, altri alla stupidità e all’incompetenza, altri ancora alla patologia psichiatrica.

Inutile dire che l’esempio ideale per sviluppare l’argomento è fornito dal quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Un uomo che per tutta la sua vita e, in particolare, per tutta la sua presidenza e nel suo penoso epilogo ha creato e via via manipolato una sua  personale realtà, composta di “fatti alternativi”.

Come hanno chiarito numerosi specialisti di salute mentale, i comportamenti di Trump rivelano uno smisurato narcisismo e dunque totale assenza di empatia; scarsa o nulla tolleranza alla frustrazione; bisogno continuo di lodi, fedeltà cieca, adorazione. Soprattutto bisogno di adattare la realtà alla visione grandiosa di sé.

Un soggetto con un simile, patologico quadro caratteriale trova insopportabile l’assenza di tali gratificazioni. Non è in alcun modo interessato ai fatti se essi non confermano la sua visione delirante. In tali casi, semplicemente, li nega ben oltre il limite del grottesco.

L’epilogo della vicenda politica di Trump è caratterizzato da una accelerazione parossistica – come notava anche la CNN – di questa tendenza a negare la realtà e a costruire, in forme sempre più sconcertanti, un racconto alternativo compatibile con il delirio.

I won this election, by a lot – ho vinto quest’elezione, e di molto, scriveva in un tweet l’inquilino della Casa Bianca proprio quando le televisioni (inclusa la fedelissima Fox News) gli notificavano, proclamando l’ormai certa vittoria di Biden, l’avviso di sfratto intimatogli dalla maggioranza degli americani. Trump non sta mentendo, nel senso di affermare consapevolmente una cosa falsa. Trump, nell’accelerazione finale del suo disturbo psichiatrico, è davvero convinto di avere vinto le elezioni perché vincerle era suo diritto e la presidenza una sua privata e non alienabile proprietà. In questa prospettiva si colloca, fra l’altro,  l’annuncio di azioni legali, che l’uomo immagina come strumenti per restituirgli ciò che è suo e di cui un complotto criminale vorrebbe privarlo.

Biden e Harris hanno fatto le loro prime dichiarazioni, piene di spirito di riconciliazione, concretezza e speranza. Una fra tutte merita di essere sottolineata per la sua capacità di segnare la discontinuità rispetto alle scelleratezze del passato. Biden ha infatti affermato che gli Stati Uniti, nel primo giorno della sua presidenza, chiederanno di rientrare nell’accordo di Parigi sul clima dal quale erano usciti per una delle tante pericolose decisioni della precedente amministrazione.

Un’ottima notizia, un atto concreto e altamente simbolico allo stesso tempo. Un primo passo per sfuggire alla trappola dell’egoismo e della stupidità, per ritornare al progetto di un mondo abitabile e solidale per le prossime generazioni.

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