A cosa serve lo sport? A tante cose, e alcune le ha annunciato Mario Draghi nel suo discorso rivolto alla Nazionale di calcio tornata vittoriosa dagli Europei. È rito collettivo che contribuisce alla coeso sociale, ma anche una vetrina per il paese all'estero. Infine, ha aggiunto il presidente del Consiglio subito prima di esprimere il suo ringraziamento alla squadra, «lo sport è un grande ascensore sociale». D'altronde abbiamo tutti in mente qualche storia esemplare di ragazzo poverissimo — magari cresciuto nelle favelas brasiliane, come Ronaldo e Ronaldinho — diventato ricco e famoso grazie al suo talento sportivo. Non c'è dubbio che lo sport, e in particolare il calcio, sia stato per alcuni uno straordinario ascensore; ma lo è per tutti? Evidentemente no.

La chiamano “fallacia del sopravvissuto”: un comune errore logico che ci porta a inferire delle teorie generali sulla base di un pugno di sopravvissuti senza tenere in debita considerazione il numero ben più alto di persone che non ce l'hanno fatta. Non diremmo mai che la lotteria è uno straordinario ascensore sociale solo perché ogni tanto vince il montepremi.

Quella di Draghi deve essere dunque considerata come una battuta, visto che a prenderla sul serio si farebbero solo dei danni. Spingere un più gran numero di ragazzi alla carriera sportiva non avrebbe alcuna influenza positiva sulla loro condizione sociale, né accrescerebbe magicamente il Pil, perché i posti disponibili sono limitati da altri fattori. E chi non troverà posto avrà speso gli anni migliori della sua vita a perfezionare un talento inutile. Più che un ascensore sociale, lo sport è una ruota panoramica: alcuni li porta su, altri li tiene giù.

Ma il panorama che si vede da lassù, beh, il panorama è magnifico. Ed è la ragione per cui tutti potranno crescere. Più sale in alto la ruota, più saranno numerosi i partecipanti, più caro il prezzo che saranno disposti a pagare per partecipare. Molte persone col gioco d'azzardo si rovinano e lo stesso accade con lo sport: i sogni di ascesa sociale spingono dei giovani promettenti a sacrificare lo studio per inseguire una carriera calcistica che per la gran parte non raggiungerà i fasti di Donnarumma e Chiellini (uno dei rari calciatori professionisti, peraltro, un vincitore). Lo stesso vale, va detto, per altre carriere attrattive ma rischiose: influencer, artista, imprenditore… Ogni tanto ne ascende qualcuno, e va bene così, ma poi ne restano mille.

Dal presidente del Consiglio ci saremmo aspettati che menzionasse, come solo e unico ascensore sociale, il più classico sistema educativo — ma riconosciamo che in quel contesto sarebbe stato scortese. E poi anche così si sarebbe sicuramente trovato qualche editorialista rognoso per chiedere se in fondo, in qualche modo, quell'ascensore lì, proverbialmente “rotto” o “bloccato” da anni, non assomigli pure lui a una giostra infernale che spinge verso l' alto soltanto una privilegiata. Un bel problema, dal momento che il concetto di ascensore sociale nasceva, negli Stati Uniti del Dopoguerra, proprio per giustificare il libero mercato in quanto capace di garantire una vita migliore se non nel presente, perlomeno nel futuro: le società inegualitarie hanno bisogno di mostrare dei modelli vincenti per dipingere all'orizzonte un obiettivo da raggiungere, una speranza in cui credere. Perché nel momento in cui smettessimo di illuderci, la ruota si fermerebbe. Ma questa è un'altra storia, che affronteremo quando ci sarà scesa la sbornia calcistica.

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