Cambiano i decreti del presidente del Consiglio, si modificano i meccanismi di adozione di misure restrittive, ma restano i contrasti tra governo e regioni.

Prima ancora che l’ultimo decreto arrivasse in Gazzetta Ufficiale, sono iniziate le polemiche a contorno. Attilio Fontana (presidente della Lombardia) ha stigmatizzato la non attualità dei dati utilizzati per valutare la collocazione della sua regione nella fascia di rischio più elevata; Nello Musumeci (presidente Sicilia) ha lamentato che la decisione non sia stata presa d’intesa; Andrea Tronzano (assessore al Bilancio del Piemonte) ha protestato per l’esclusione della Campania dalle zone più a rischio; Nino Spirlì (presidente facente funzioni in Calabria) ha dichiarato di voler impugnare l’ordinanza del ministro della Salute. Com’è possibile che, nonostante il meccanismo elaborato per suddividere il territorio nazionale in tre aree di rischio, continui il “balletto” tra il potere regionale e quello centrale?

È una dinamica che si era già manifestata nei mesi scorsi, quando fu introdotto (d.l. 6/2020 e d.l. n. 19/2020) il meccanismo delle “more”: le ordinanze dei presidenti di regione erano legittimate solo fino al Dpcm successivo, sì che con la sua emanazione sarebbero dovute decadere.

Appena dopo un Dpcm, ai presidenti di regione bastava emanare nuove ordinanze che restavano vigenti fino al Dpcm successivo, e così il gioco era fatto.

La fase 2 del caos

A metà maggio (d.l. n. 33/2020), con il monitoraggio della situazione epidemiologica da parte delle regioni, si è consentito ai presidenti di «introdurre misure derogatorie, ampliative o restrittive», in relazione all’andamento dei contagi e alle condizioni del proprio sistema sanitario, informandone il ministro della Salute.

Le nuove precisazioni non hanno evitato sovrapposizioni tra i provvedimenti del governo e quelli delle regioni.

Con l’ultimo Dpcm sembrava che questo pasticcio potesse finalmente essere evitato. Infatti, com’è noto, ordinanze del ministro della Salute, sentiti i presidenti delle regioni, inseriscono queste ultime nell’una o nell’altra fascia di rischio sulla base di dati forniti dalla regione stessa, i quali sostanziano 21 indicatori, la cui combinazione corrisponde a un certo scenario e alle relative misure di contenimento.

Ma, nonostante questo meccanismo, iniziative dei presidenti non in linea con quelle del governo proseguono ancora. Evidentemente, c’è qualcosa che non funziona.

La norma e la deroga

La spiegazione sta nella norma di un decreto-legge di ottobre (d.l. n. 125/2020) che consente ancora ai presidenti di regione di «introdurre misure derogatorie» rispetto a quelle del governo, come già il decreto di maggio, purché più «restrittive».

Questo significa che ogni presidente può sancire regole più severe di quelle correlate alla fascia di rischio in cui si trova la propria regione.
Dunque, se anche dopo l’ultimo Dpcm alcuni presidenti continuano a limitare diritti in misura maggiore rispetto alle regole del presidente del Consiglio, è perché il governo non ha cancellato la disposizione che lo permette.

Questo è il motivo per cui, ad esempio, Vincenzo De Luca (presidente della Campania) ha ribadito con ordinanza la chiusura di tutte le scuole - da quella dell'infanzia alle superiori - fino al 14 novembre, nonostante l'ultimo Dpcm abbia stabilito che, nella fascia ove si trova la Campania, scuole primarie e secondarie di primo grado restino aperte. Emblematica è poi la questione dell’ordinanza di Michele Emiliano (presidente della Puglia) che disponeva la chiusura delle scuole fino al 24 novembre, ad esclusione di quelle per l’infanzia, e che il presidente aveva lasciato vigente anche dopo il nuovo Dpcm, nonostante la difformità rispetto a quest’ultimo.

Il provvedimento è stato poi sospeso dal Tar Puglia, sezione di Bari, perché mancante di presupposti sostanziali e per la «inadeguatezza del sistema scolastico pugliese ad attivare subito alla didattica a distanza»; mentre la sezione di Lecce dello stesso Tar, all’opposto, ha respinto la richiesta di sospensione della medesima ordinanza, ritenendo prevalente il diritto alla salute su quello allo studio. Emiliano ha quindi emanato una nuova ordinanza, sostanzialmente allineandosi al disposto del Dpcm.

La vicenda dimostra che, quando i diversi regolatori agiscono in maniera scoordinata, le questioni vengono poi risolte dai tribunali, e talora in maniera non coerente. Così aumenta non solo il contenzioso, ma la confusione dei destinatari delle misure. Certe patologie del diritto, protratte nel tempo senza correttivi, rischiano di diventare fisiologiche. Eppure, bastava abrogare una norma.

Le ordinanze dei sindaci

Non solo i provvedimenti regionali complicano la situazione. Anche i sindaci continuano a emanare ordinanze che talora suscitano dubbi in punto di diritto: uscita dei minori solo se accompagnati da un adulto (comune di Striano); divieto di uscita agli ultrasettantenni, salvo comprovate esigenze (Volturara Irpina); obbligo per alcune categorie di lavoratori di fare mensilmente tampone e/o test sierologico (Caltavuturo); parchi pubblici aperti solo a minori accompagnati e altre limitazioni (Acerra); apertura di bar e palestre, chiuse in base a Dpcm (Pontinvrea).

Ma il governo, come continua a consentire ai presidenti di regione poteri decisionali “in deroga”, così sembra aver rinunciato alla facoltà di annullare «gli atti degli enti locali viziati da illegittimità a tutela dell’unità dell’ordinamento» (art. 138 del Testo Unico degli Enti Locali), esercitata invece nell’aprile scorso per l’ordinanza del sindaco di Messina che limitava l’ingresso in Sicilia attraverso lo Stretto. L’intervento del potere centrale sarebbe doveroso, anche al fine di garantire l'unitarietà della strategia nazionale di contrasto alla pandemia (peraltro, in conformità agli articoli 117 e 120 della Cotituzione). Certi localismi, al di fuori del coordinamento centrale, risultano stonati.

Oggi vi sono decreti-legge che forniscono la cornice regolatoria, Dpcm che si susseguono affannosamente, ordinanze del ministro della Salute modulate via Dpcm, ordinanze di presidenti di regione che vanno per conto proprio perché è lo stesso governo che lo permette, Tar che decidono in modo difforme l’uno dall’altro e ordinanze di sindaci giuridicamente dubbie. E la certezza del diritto, chi l’ha vista?

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