Siamo animali sociali, ma è anche vero che gli “altri” un po’ ci opprimono, e quindi non ci dispiace schivare i vincoli del gruppo. A questa immanente pulsione fanno appello i “disintermedianti” che propongono mezzi adatti, a dire loro, a liberarci delle autorità e autorevolezze e rendere il mondo intero assai più orizzontale.

Nel biennio 2007-2008 i disintermedianti si sono fatti sotto con tre linee di prodotto. Nella comunicazione, Facebook, una volta fusa con lo smartphone, ci ha promesso la possibilità di entrare in connessione punto a punto e cerchia a cerchia e potenziare la diffusione di quello che ci passa per la testa.

Nella politica, è arrivata la dialettica del vaffa e l’eloquenza dei clic della “democrazia diretta” in cui qualcuno formula domande in grana grossa e il popolo risponde affidando alla rete una crocetta. Nel quattrino, Satoshi Nakamoto ha lanciato i bitcoin, pensati per girare fra i conti delle persone in una sorta di registro crittografato e inalterabile. Un’alternativa  allo stato-zecca e all’intermediazione delle banche, accolta a braccia aperte anche perché proprio allora Lehman Brothers affondava la fiducia verso entrambe.

Nessuna di queste proposte sarebbe stata concepibile fuori dall’esistenza di Internet e ognuna s’è diffusa con modalità virale, come accade ai memi sulla Rete, frutti di un passaparola formidabile a patto che: esprima un luogo comune dalle basi inalterabili, come quelli riesplosi nel biennio 2007 2008; circolando si acconci a mille interpretazioni che lo gonfiano arruolando milioni di credenti sotto forma di account, voti al populista di passaggio, dollari consegnati per avere un pezzettino di bitcoin. Il tutto, va da sé, per contribuire a rovesciare il mondo come un guanto.

Capitalismo memetico

Tanto entusiasmo  fonda le fortune del “capitalismo memetico” che avvista o monta l’onda popolare per trasformarla in privato patrimonio. Proposito mirabile, non fosse che ci si arriva creando, nonostante le premesse, il massimo della intermediazione concepibile.

Così, il patrimonio di Facebook s’è accumulato non grazie alla connessione di “chiunque con chiunque” (siano singoli oppure gruppi) come sarebbe il servizio di networking garantito da una piattaforma tecnica neutrale, ma facendosi parte attiva nel selezionare e aggregare contenuti. Per cui, altro che networking, siamo ai social “media” che usano l’utente per risucchiargli il tempo d’attenzione ed esporlo alla pubblicità detta “mirata”.  

Quanto all’imprenditoria del consenso elettorale, s’è visto che democrazia diretta s’è risolta in un votificio accentrato e muto, praticamente un’implosione non diversa da quella dell’intermediatissimo PD che, votando fra sé e sé, si auto replica e scappa dalla discussione di sostanza.

Infine, le piattaforme dei bitcoin, che hanno lavorato non a creare una moneta quotidiana, ma una creatura lenta e farraginosa (del resto la crittografia infallibile pretende i propri tempi) che mai e poi mai arriverebbe alla cassa del mercato. Ma intanto quelle piattaforme si sono trasformate in scommesse al rialzo sul tasso di scambio con la moneta dello stato, e qui ha contato l’entusiasmo dei fedeli, che non hanno ceduto alla blasfemia di farsi quattro conti. Il risultato è stato che la moneta “disintermediata” ha pompato trilioni di moneta vera dalle tasche dei neofiti cui i credenti più scaltriti hanno fatto in tempo a rifilare i bitcoin gonfiati nel frattempo. Basti dire che se l’altr’anno compravi un bitcoin con 60mila dollari, oggi te ne basterebbero 17mila. Che vuol dire “enormemente meno”, ma fa sospettare il quasi niente.

I memi della speranza sono gli ultimi a sparire

Come sempre in questi casi (di vicende analoghe ce ne sono parecchie nel passato) viene da sorridere a chi guarda da fuori e l’ha scampata. Ma i memi speranzosi sono più tenaci dello stesso capitalismo che li sfrutta. Non per caso il bollino blu a pagamento per il Twitter di Musk è stato accettato al volo da tre ordini di account: siti complottisti, pornografi e venditori di bitcoin che notoriamente trafficano coi sogni e sanno che la madre dei sognatori è sempre incinta. Mentre a Napoli – Piazza Garibaldi lato sinistro venendo dalla stazione – furoreggiano da sempre le tre campanelle, con la vittima speranzosa in mezzo al capannello dei compari.

© Riproduzione riservata