Due torti non fanno una ragione. Un certo professor Giovanni Gozzini insulta Giorgia Meloni in una discussione digitale, si lambicca su quali siano le parole adatte per segnalare la distanza tra la leader di Fratelli d’Italia e il nuovo premier Mario Draghi. Oltre alla volgarità, questo storico, ordinario dell’Università di Siena, dimostra anche una certa povertà di argomentazione, si riduce a insulti volgari come “rana dalla bocca larga”, “scrofa” e “pesciaiola”. Insulti gratuiti e squallidi, che di certo squalificano chi li pronuncia, oltre a offendere chi li riceve e chi li ascolta.  

Bene ha fatto il rettore dell’Università di Siena a sospendere il professor Guzzini, che per tre mesi perderà anche lo stipendio, oltre alla reputazione.

Una scelta di comunicazione

Giorgia Meloni ha tutto il diritto di sentirsi offesa. Ma Giorgia Meloni non è una privata cittadina, è la leader del partito Fratelli d’Italia, quindi le sue scelte su come gestire questa polemica sono da interpretare come una strategia di comunicazione politica.

Premessa ovvia: chiunque abbia un minimo di visibilità pubblica riceve insulti più o meno articolati sui social network, come ho spiegato in un precedente articolo questa dinamica dell’indignazione è parte cruciale del modello di business delle piattaforme digitali.  

La domanda è: perché Giorgia Meloni condivide e rilancia il video di Gozzini? Quegli insulti sarebbero mai andati oltre la ristretta e irrilevante cerchia dei del chiacchiericcio toscano di sinistra  se Meloni non lo avesse trasformato in un caso? Probabilmente no.

Tra tutti gli insulti che riceve la leader di Fratelli d’Italia sui social, ha scelto di dare visibilità proprio a quello, non alle tante accuse che riceve di essere fascista, razzista o tanto altro.

Meloni sceglie questo insulto perché la attacca su un fronte pre-politico, sono volgarità sessiste. Nessuno ha diritto a usare quegli epiteti per una donna (e neanche per un uomo, a voler essere fiscali).

E’ una strategia che serve a innescare la dinamica del dilemma morale: se non solidarizzi sei dalla parte dell’aggressore, se solidarizzi ti devi inevitabilmente schierare dalla parte della vittima, cioè di Giorgia Meloni, a prescindere da quanto tu condivida le sue idee.

Ecco, a me questo dilemma non piace.

Perché Giorgia Meloni è un leader politico, non un privato cittadino. E per quanto sia esecrabile questo Guzzini, nella posizione di forza c’è lei, Giorgia Meloni, non lo sconosciuto professore senese dall’eloquio limitato. 

Ma Giorgia Meloni, come Matteo Salvini prima di lei, persegue una strategia di comunicazione politica che ha il chiaro scopo di presentarla come vittima di aggressioni continue. Salvini per mesi ha fotografato e rilanciato gli insulti dei suoi odiatori, trasformandoli in una parte della sua narrazione politica. A che scopo?

La tattica della vittima

Semplice: togliere legittimità alle critiche di segno uguale e contrario che gli venivano rivolte. Come puoi accusare Salvini e Meloni di fomentare l’odio se loro ne sono le prime vittime? E’ lo stesso modello che ha seguito Donald Trump, spinto al punto da convincere i suoi elettori di essere vittima di un complotto per sabotare le elezioni e sottrargli la vittoria, proprio mentre era lui stesso a cercare invece di sabotare il voto per impedire a Joe Biden di vincere.

Ecco: questa è la retorica vittimista di Giorgia Meloni e Matteo Salvini che è un ingrediente cruciale della loro tattica di costruzione del consenso che passa per legittimare e alimentare ogni forma di odio o pregiudizio, in particolare verso le minoranze.

Al Parlamento europeo Lega e Fratelli d’Italia si sono astenuti nel voto sulla risoluzione di condanna dei fatti di Capital Hill. La scelta è chiara: il partito di Giorgia Meloni considera degno di censura il professor Gozzini ma non lo sciamano con le corna che ha saccheggiato gli uffici dei senatori al Congresso, si rifiuta di criticare le violazioni dello stato di diritto in Polonia e Ungheria con la singolare motivazione che l’Unione europea non è abbastanza severa nel pretendere il rispetto dei diritti umani in Cina e così via.

A ottobre 2019 Fratelli d’Italia – assieme a Lega e Forza Italia – si è astenuta sulla proposta di istituire una commissione parlamentare contro odio, razzismo e antisemitismo intitolata alla senatrice a vita Liliana Segre. Assolutamente legittimo essere perplessi sul fatto che siano i governi, o i partiti, a stabilire cosa si può e non si può dire. Ma Fratelli d’Italia che si astiene su una commissione contro l’antisemitismo è lo stesso partito i cui vertici si profondono in continui omaggi all’immaginario fascista e a un regime che è stato responsabile, tra l’altro, delle leggi razziali che hanno mandato Liliana Segre ad Auschwitz.

E’ di pochi giorni fa la notizia dell’assessore regionale del Veneto Elena Donazzan che canta Faccetta Nera a Radio24, nell’ambito di una delle tante provocazioni di dubbio gusto della Zanzara di Giuseppe Cruciani.

Donazzan è nientemeno che responsabile Istruzione, Lavoro e pari opportunità di Fratelli d’Italia, e ha peggiorato la sua posizione con una intervista a Repubblica con frasi come questa: «Io chiedo scusa se qualcuno di sinistra si è sentito offeso, non era mia intenzione ferire. Ma io ho un cognome, una famiglia, una storia. E non rinnegherò mai le mie origini». Oppure: «Anche quando cantano Bella Ciao, la canzone degli infoibatori, io mi sento offesa, ma non mi sognerei mai di oppormi».

L’idea che dalle goliardie sul fascismo si possa sentire offeso anche chi di sinistra non è o che definire Bella Ciao la canzone degli “infoibatori” (omettendo la Resistenza) sia quantomeno singolare è un pensiero che non passa per la testa di Donazzan. 

Al netto di questi episodi – frequenti – va anche ricordato che Giorgia Meloni si è opposta, in questi anni, a qualunque legge tutelasse le minoranze – peraltro senza danneggiare le maggioranze – dallo ius soli alla legge per introdurre l’aggravante di omofobia.

Gli stessi toni

Giusto per non farsi mancare niente, il presidente della regione Abruzzo Marco Marsilio, di Fratelli d’Italia, trova il tempo di sottrarsi per un attimo alla gestione dell’emergenza Covid per andare sulla bacheca di Selvaggia Lucarelli e scrivere: «Lei è una miserabile», perché la giornalista ha detto di non voler dare solidarietà a Meloni, pur disprezzando le parole di Gozzini. Ecco, dove sarebbe la differenza tra Marsilio e Gozzini?

Io ne vedo una sola: che Marsilio ha più potere di Gozzini. E che l’Università di Siena ha sospeso Gozzini, mentre Giorgia Meloni non ha sospeso Marsilio.

E’ stata sempre la strategia di comunicazione di tutti gli oppressori quella di presentarsi come oppressi: lo stesso fa oggi Fratelli d’Italia, ultima trincea dei cittadini indifesi minacciati dalla lobby gay, da George Soros, dalla finanza, da Mario Draghi, da chi vuole la sostituzione etnica… Quando sei minacciato al punto che la sopravvivenza stessa è incerta, allora tutto diventa lecito.

Qui ci vuole portare Giorgia Meloni. Ma credo che sia legittimo, e perfino doveroso, dire che lo stesso metro di giudizio che classifica come violente, offensive e intollerabili le parole di quel professor Gozzini permetta di giudicare allo stesso modo gran parte delle prese di posizione e delle dichiarazioni di Fratelli d’Italia.

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