Il dramma elettorale che stiamo vedendo negli Stati Uniti nasce il primo marzo scorso, quando l’establishment del partito Democratico decide che a sfidare Donald Trump deve essere Joe Biden, a prescindere da quello che pensano gli elettori: tutti i candidati moderati alle primarie si ritirano, Pete Buttigieg ed Amy Klobuchar, poco dopo lascia anche Elizabeth Warren.

L’ossessione del partito si chiama “eleggibilità”: Joe Biden non entusiasma nessuno, ma tutti sono convinti che le elezioni si vincano al centro, con candidati rassicuranti, moderati, sciapi.

Eppure Hillary Clinton ha perso nel 2016 un’elezione che pareva vinta, al miliardario Michael Bloomberg non è bastato spendere un miliardo per comprarsi la nomination Democratica.

Perché, lo vediamo ora per l’ennesima volta, le praterie elettorali non sono al centro, ma ai margini, là dove c’è una domanda di politica senza un’offerta coerente.

Il mondo liberal decide che Biden deve essere il candidato, il New York Times nasconde le notizie fastidiose (gli affari disinvolti del figlio Hunter, le accuse di molestie), il partito ignora e umilia gli interpreti di quella corrente radicale che lo ha tenuto vivo dopo il 2016: costringono al ritiro lo sfidante di Biden, Bernie Sanders, che si è dimostrato leale fino all’ultimo, prima ignorano e poi umiliano Alexandria Ocasio-Cortez e le altre deputate emerse nelle elezioni del 2018 che rappresentano un mondo di elettori giovani, intransigenti e pieni di energia. Ocasio-Cortez e le altre sono state tutte riconfermate, anche nel 2020.

Anche se  Joe Biden si siederà alla Casa Bianca, la sua sarà una presidenza che nasce stanca, segnata dal trauma di scoprire che metà dell’America preferisce un presidente eversivo che ha governato quattro anni nella corruzione più ostentata e si lascia alle spalle 230mila morti di Covid.

Bernie Sanders ha perso ma, come ha detto in un memorabile discorso della sconfitta, ha vinto la battaglia delle idee: la sanità universale, la cancellazione del debito degli studenti, un salario minimo più alto, le tasse per i ricchi, la guerra allo strapotere delle grandi corporation sono diventate le uniche idee di cui discutere nel partito Democratico, anche soltanto per distanziarsene, come fa Joe Biden. Che però deve tenerne conto. Idee che quattro anni fa erano considerate da estremisti, ora sono parte del dibattito, quasi ovvie: i monopoli digitali sono un problema, la disuguaglianza corrode la società, la crisi climatica è urgente quanto quella finanziaria.

Ecco, se il partito Democratico ha un futuro non è certo nel canuto Biden. Comunque finisca il conteggio dei voti, si è capito che Trump non è un’increspatura nella democrazia americana: è l’interprete di un nuovo modo di fare politica a cui rispondere con altrettanta radicalità, con il coraggio di affermare valori e praticare politiche certo più nobili e di segno opposto ma altrettanto drastiche di quelle tentate da lui. Anche il centrosinistra italiano dovrebbe ragionare su questo voto americano per non trovarsi a rivivere lo stesso spaesamento alla prossima occasione

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