Il cielo sopra l’Europa è rannuvolato. Le nuvole gonfie di pericoli vengono da est (Russia) e da ovest (gli Usa di Trump). Le eventuali schiarite non possono essere il (solo) prodotto di incontri parziali come quello frettolosamente organizzato dal presidente francese.

A Parigi si è data visibilità ad alcune delle difficoltà e delle carenze dell’Unione europea oggi. Niente, o quasi, autorizza, però, a dare per spacciate né l’Europa che esiste né l’Europa che moltissimi cittadini europei vorrebbero, difendono e costruiscono giorno dopo giorno.

Il problema più urgente è trovare una soluzione alla guerra in Ucraina, ma non una soluzione qualsiasi e meno che mai una soluzione che possa essere interpretata come la vittoria dell’aggressione russa. Dunque, al tavolo della trattativa dovranno essere presenti anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e un rappresentante dell’Unione europea: la presidente della Commissione Ursula von der Leyen oppure la commissaria per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza Kaja Kallas.

Leadership o no

Purtroppo, per motivi complessi e certamente criticabili, von der Leyen stessa è parte del problema, poiché non ha voluto e non ha saputo finora esercitare la sua leadership. Comunque, non si rafforza l’Unione se le critiche, spesso giuste, non vengono accompagnate da proposte di mutamenti desiderabili e fattibili, ma anche dalla consapevolezza che il presidente Usa Donald Trump è, a sua volta, parte del problema.

Le sue dichiarazioni, quelle del suo vicepresidente JD Vance e le plateali e brutali interferenze nella politica interna di alcuni Stati-membri della Ue, in particolare la Germania, di Elon Musk mirano a scardinare l’Europa.

Paradossalmente, lo slogan “Make Europe Great Again” riconosce la grandezza di un passato nel quale in verità tutti gli indicatori rivelano una Europa meno “forte” di adesso. La grandezza di un paese e di una Unione di paesi non si misura soltanto dal potere militare, ma anche dai valori riconosciuti e rispettati, protetti e promossi nei rispettivi contesti. Su questi valori l’Unione europea non teme confronti.

Non è affatto sorprendente che le brutali espressioni di Vance nei confronti dell’Ue e dei singoli Stati-membri abbiano trovato una brutta e deplorevole eco nelle due volte ripetute critiche di Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Affari esteri russo, lanciate contro il presidente della Repubblica italiana.

In effetti, Sergio Mattarella è doppiamente responsabile, da un lato, in quanto ha sempre denunciato l’aggressione russa all’Ucraina, dall’altro, poiché è un convinto e autorevole sostenitore del processo di unificazione dell’Europa. Coloro che esprimono giustamente solidarietà a Mattarella non dovrebbero farlo in maniera ipocrita sposando poi idee opposte alla visione limpida e coerente del presidente.

Dal vertice di Parigi, positivamente integrato dalla partecipazione del primo ministro britannico Keir Starmer, non sono emersi decisioni specifiche e impegni vincolanti, ma tutti dovremmo sapere da tempo che quelle decisioni vanno costruite sullo scambio di idee e di preferenze. Quel vertice non ha affatto ratificato la fine o, come hanno scritto alcuni quotidiani, l’esplosione dell’Unione. Ha messo in evidenza prevedibili differenze d’opinione e soprattutto di atteggiamenti.

Il punto dirimente riguarda il rapporto da intrattenere con Trump: assecondarlo, come sembra abbia sostenuto il capo del governo italiano Giorgia Meloni, oppure formulare proposte non solo complementari, ma condivise e alternative. Nel frattempo, poiché in politica anche gli atti simbolici contano moltissimo, sarebbe davvero importante e significativo che, come proposto dal deputato socialista francese Raphaël Glucksmann, i capi di governo di tutti gli Stati membri dell’Ue si recassero a Kiev il 24 febbraio, terzo anniversario dell’aggressione russa. Le immagini hanno una loro potenza. Rischiarano.

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