È stato emanato il decreto-legge sulle riaperture. I contenuti erano stati anticipati in conferenza stampa la settimana scorsa. Su queste pagine erano già stati posti dubbi su alcuni profili, rimandando la valutazione al testo ufficiale, che tuttavia ne fa sorgere anche altri.

Le scuole

«Tutte le scuole di ogni ordine e grado riaprono completamente in presenza nelle zone gialle e arancione, mentre nelle zone rosse (…) in parte in presenza e in parte a distanza». Così il presidente del Consiglio Mario Draghi, in conferenza stampa, aveva preannunciato una svolta: salvo che in zona rossa, tutti gli studenti in presenza. Che si fosse d’accordo o meno, le parole di Mario Draghi erano chiare e nette.

Il decreto-legge, invece, fa retromarcia. Sono assicurati in presenza servizi educativi per l'infanzia, nonché attività «della scuola dell'infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado». Invece, nella «scuola secondaria di secondo grado» la presenza sarà dal 50 al 75 per cento nella zona rossa, dal 50 al 100 per cento nelle zone gialla e arancione.

Si tratta di percentuali cambiate diverse volte, tra la bozza e il testo ufficiale. La percentuale, nell’ambito degli intervalli, sarà fissata dai dirigenti scolastici, nell’esercizio della loro autonomia. Insomma, oltre a governo e presidenti di regione, ora tocca ai Presidi.

I profili critici sono pure altri. Si dispone che le regole sulla scuola non possano essere derogate da presidenti di regione e Sindaci, ma al contempo che essi possano derogarvi in casi di focolai o rischio estremamente elevato di diffusione del virus o di sue varianti. Quindi, quanto a derogabilità, non cambia niente rispetto al decreto precedente, con la possibilità che sulla scuola si accavallino provvedimenti diversi, se il governo non impugnasse eventuali ordinanze regionali immotivate.

La ministra Gelmini ha affermato che obiettivo del governo è «favorire il ritorno a scuola gradualmente, in modo progressivo»: un mese prima della chiusura delle scuole, la gradualità pare un concetto privo di senso.

Peraltro, le scuole sono nella stessa condizione in cui erano a settembre scorso: il nuovo governo c’è da due mesi e mezzo e la situazione non pare migliorare quanto a tracciamento, ad aerazione e, in molte città, ai trasporti. È vero che questi ultimi restano di competenza locale, ma in pandemia il governo potrebbe comunque imporsi, com’è noto.

Le riaperture

Draghi aveva definito le prossime riaperture come «un’opportunità straordinaria non solo per l’economia ma per la nostra stessa vita sociale». In concreto la situazione pare diversa. Nella zona gialla sono consentite le attività di ristorazione con consumo al tavolo esclusivamente all’aperto, anche a cena, ma nel rispetto del “coprifuoco”, e cioè entro le 22.

A parte il fatto che circa la metà dei ristoratori non dispone di spazi all’esterno, da un lato, non in tutte le regioni il clima consente di stare fuori, e comunque le disdette in caso di pioggia causerebbero perdite delle quali chi riapre non può non tenere conto; dall’altro lato, la chiusura prima delle 22, che preclude ai ristoranti il secondo turno, unitamente al riempimento dei tavoli in percentuale limitata, potrebbe dissuadere dal riaprire, se le entrate auspicate non coprissero i costi certi. Appare palese l’ipocrisia regolatoria, che dà un segnale di svolta senza consentirla in concreto.

Problemi sorgono, ad esempio, anche riguardo ai teatri, che pure potranno riaprire all’aperto. La stagione invernale è ormai persa per tanti, mentre quella estiva è limitata a pochi. E, comunque, dato il “coprifuoco”, gli spettacoli dovrebbero iniziare molto presto. Anche in questo caso, la portata delle riaperture non sarà “straordinaria”.

A proposito di “coprifuoco”, la relativa norma, scritta in modo confuso nelle bozze che erano circolate, e ancora più confusamente interpretata, è poi stata modificata. La limitazione oraria resta vigente fino al 31 luglio, ma sarà riconsiderata a breve, anche a causa di pressioni politiche e regionali, quindi il problema è destinato a decadere.

Il “pass” vaccinale

Ci si potrà spostare liberamente tra regioni “gialle”, mentre per muoversi per motivi di turismo tra le altre servirà un “pass”. Questo strumento sarà poi sostituito dal “green pass” europeo, il cui varo in sede Ue è previsto per la metà di giugno, ma serviranno diversi provvedimenti per attuarlo in sede nazionale.

Si tratta di una misura che condiziona gli spostamenti alla vaccinazione oppure alla prova dell’immunizzazione o della negatività al virus e che pone problemi di diritto. Innanzitutto, per la disparità di trattamento di coloro i quali, non essendo ancora vaccinati, e non per propria colpa, dovrebbero sostenere il costo di un tampone per poter viaggiare. Ciò penalizzerebbe soprattutto i giovani, che non solo saranno vaccinati per ultimi, ma per potersi muovere avranno maggiori esborsi.

Inoltre, se – come affermano gli scienziati - il tampone non assicura che la persona non sia infetta, poiché il virus potrebbe non essere ancora rilevabile, il “pass” basato sul tampone non garantisce dalla possibilità di contagi.

Le stesse considerazioni valgono per quei vaccini che, secondo gli stessi scienziati, non sono del tutto efficaci nell’impedire la trasmissione del virus.

Questi rilievi rendono evidente come la norma sul “pass” sia frutto del bilanciamento di interessi diversi - dall’esigenza di ricominciare a viaggiare alla necessità di farlo con una qualche sicurezza - in un equilibrio che prova a tenere insieme tutto.

Peraltro, se il “pass” dura sei mesi, perché il governo ha preso atto che al momento questa è l’evidenza della durata dell’immunizzazione da vaccino, dovrebbe pensarsi a una revisione del piano vaccinale che consenta una terza dose alle persone vaccinate all’inizio dell’anno: per esse il “pass” potrebbe scadere appena entrato in uso.  

Chi viaggia per motivi di lavoro, necessità o salute non avrà bisogno del “pass”, ma solo dell’autocertificazione: l’onere di un tampone ogni 48 ore per i pendolari non vaccinati, ad esempio, sarebbe stato troppo gravoso.

Tuttavia, se il “pass” è una misura tesa a evitare che il virus si muova insieme alle persone, l’autocertificazione in deroga al “pass” non farà sì che il virus deroghi alla possibilità di muoversi con esse. Anche in questo caso la norma è frutto di un bilanciamento.

Proroga dello stato di emergenza.

Con il nuovo decreto sono prorogati al 31 luglio i termini relativi allo stato di emergenza, e ancora una volta non se ne comprende la motivazione. Per aversi “emergenza” dovrebbe dimostrarsi che sta “emergendo” una situazione inattesa o che può avere un’evoluzione inattesa, sì da richiedere «immediatezza d'intervento», come sancito dal Codice della Protezione Civile.

Giustificare l’emergenza con l’urgenza di concludere la campagna vaccinale, ad esempio, significa fare confusione. Urgenza non è sinonimo di emergenza, e identificare i due concetti può far sì che in Italia, ove riforme e altro sono sempre urgenti, lo stato emergenziale coincida con quello ordinario. Col rischio che si continui, invece, a restare impreparati alle emergenze vere.

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