Non andrà tutto bene. Sono molte le voci che tendono a presentare la transizione ecologica come una grande opportunità. Sembrano essere di diverso avviso i giudici della Corte Costituzionale tedesca. Nel comunicato stampa relativo alla pronuncia emessa nei giorni scorsi in merito alla legge di protezione del clima  si legge che «non si può accertare che il legislatore abbia violato il proprio dovere costituzionale di tutelare i ricorrenti dai rischi del cambiamento climatico» ma, volendo rispettare gli impegni presi con l’Accordo Parigi, se non si rendono più drastiche le misure nel breve termine: «Gli obblighi futuri di riduzione delle emissioni avranno un impatto su ogni forma di libertà perché tutti gli aspetti della vita umana implicano l’emissione di gas climalteranti e sono per questo potenzialmente minacciati di essere oggetto di drastiche restrizioni dopo il 2030».

Dalla alimentazione alla mobilità, alla comunicazione attraverso lo scambio di informazioni sulla rete la nostra libertà è strettamente correlata al consumo di energia e alle emissioni di anidride carbonica e degli altri gas serra.

Ce ne fornisce una controprova l’esperienza recente: la forte restrizione alle nostre libertà che abbiamo subito per contrastare la diffusione del virus ha avuto come effetto indiretto una riduzione senza precedenti delle emissioni.

Da un lato, l’assunzione di impegni più stringenti per il futuro prossimo consentirebbe di contenere l’onere a carico delle future generazioni, dall’altro, essa implicherebbe la necessità di maggiori restrizioni immediate alla nostra libertà. Anzi è più corretto dire che, se nel lungo termine questa è una eventualità, nel breve è una certezza.

Addio fonti fossili?

Se vi è un legame stretto tra libertà e disponibilità di energia, l’unico modo per evitare di comprimere la prima è quello di puntare sulla innovazione tecnologica grazie alla quale rendere le forme di produzione prive di emissioni climalteranti meno costose e altrettanto affidabili rispetto a quelle tradizionali. Qualora questa condizione fosse raggiunta, l’abbandono delle fonti fossili avverrebbe spontaneamente senza necessità di coercizioni più o meno forti. Ma questa strada, già percorsa con successo per la qualità dell’aria, richiede tempi lunghi.

Nel breve periodo l’unica opzione disponibile è quella di rendere più costoso il ricorso a forme di energia a maggior contenuto di carbonio o, più drasticamente, renderne illegale l’utilizzo. Oppure, nel campo della mobilità, vietare l’utilizzo di automobili tradizionali imponendo l’acquisto di autovetture ad alimentazione elettrica più costose delle prime e con maggiori vincoli in termini di libertà di spostamento. O, ancora, come è già stato proposto da alcuni, proibire tout court l’utilizzo del mezzo individuale nelle città costringendo tutti a servirsi dei trasporti collettivi.

È però possibile, e dovrebbe essere imperativo per chi ha a cuore la libertà di tutti, scegliere fra le opzioni di riduzione delle emissioni oggi disponibili quelle che comportano il minor costo possibile. Non è quello che stiamo facendo.

Il costo di riduzione sembra essere considerato una variabile indipendente. Non solo: spesso si frappongono ostacoli a tecnologie carbon free esistenti come il nucleare – è di pochi giorni fa la chiusura di Indian Point, la centrale che soddisfaceva un quarto del fabbisogno energetico di New York – oppure si pongono veti aprioristici allo sviluppo di opzioni come la cattura dell’anidride carbonica emessa dagli impianti tradizionali che oggi sono a uno stadio embrionale (come lo erano eolico e fotovoltaico un paio di decenni fa) ma che potrebbero in futuro contribuire in misura non trascurabile alla risoluzione del problema.

Quali sono le cause di tale atteggiamento? Sembrano potersi individuare nel tentativo di perseguire una sicurezza assoluta che però, come ci insegna anche la recente vicenda dei vaccini, non esiste.

C’è scarsa consapevolezza che proprio grazie alla disponibilità di energia a basso costo e alla crescita economica, oltre a difenderci molto meglio del passato dal freddo e dal caldo, nello scorso secolo i rischi correlati agli eventi climatici estremi sono stati drasticamente ridotti. Nell’ultimo decennio la mortalità correlata a uragani, incendi, inondazioni temperature estreme è risultata pari a due vittime per milione di persone. Cento anni prima era cento volte superiore.

Tornano alla mente le parole di B. Franklin: «chi rinuncia alla libertà per raggiungere la sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza».

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