L’idea di scrivere il “Libro bianco sul Covid in Liguria” ci viene alla fine di aprile durante una riunione su Skype. Siamo un gruppo di amici genovesi che ormai da qualche mese ha sostituito le tradizionali cene con esangui incontri digitali. Talvolta, con una buona dose di ironia, brindiamo mestamente alzando un calice di vino bianco verso lo schermo. Si parla di Covid-19 e ci chiediamo perché né la stampa nazionale né quella locale si accorgano che la Liguria è ai primi posti tra le regioni italiane sia nei contagi sia nei morti: basterebbe una semplice divisione per fare il rapporto tra il numero dei casi e la popolazione, ma nessuno lo fa. Inoltre, mentre il resto d’Italia migliora, la Liguria va sempre peggio. Perché nessuno ne parla?

Certo, in tempo di pandemia è necessario essere cauti con le parole, evitare inutili polemiche, far prevalere la solidarietà sulle divisioni. Ma c’è qualcosa di inquietante in questo silenzio collettivo. Ci pare che la giunta di Giovanni Toti stia sbagliando molte cose nel fronteggiare la pandemia ma i partiti di opposizione sono senza voce. Anche i giornali locali sembrano inerti, incapaci di andare oltre la piccola cronaca quotidiana del disastro a cui stiamo assistendo, succubi di un “governatore” che – bisogna riconoscerlo – eccelle nell’arte della comunicazione.

Il libro

Siamo in otto a impegnarci nella stesura del Libro Bianco sul Covid in Liguria e mi pare che il gruppo sia abbastanza inserito nella realtà genovese da riuscire a farsi sentire. Oltre a me, unico giornalista, ci sono due avvocati piuttosto noti in città, un architetto che è stato per diversi anni presidente della Fondazione dell’Ordine ligure, due medici (uno è stato primario per decenni in un ospedale del Ponente, l’altra ricercatrice all’ospedale Gaslini), una dirigente del Teatro Stabile, una chimica che ha per molto tempo diretto una struttura di prevenzione della Asl genovese. Alla fine del nostro lavoro scopriremo diverse cose interessanti: per esempio che, adottando una politica diversa, forse in Liguria si sarebbero potuti evitare oltre novecento dei 1.561 morti di Covid registrati entro il 15 luglio. Ma andiamo con ordine.

Per prima cosa scriviamo una lettera aperta ai giornali locali per sottolineare l’elevata mortalità registrata in Liguria (siamo secondi solo alla Lombardia) e far notare che questo record negativo è stato causato dallo smantellamento della rete sanitaria territoriale: non è un caso che il disastro sia stato più accentuato in regioni come Lombardia e Liguria, che tutto hanno puntato sugli ospedali (ormai allo stremo) e pochissimo sull’assistenza domiciliare.  

Sia la Repubblica (sulle sue pagine locali), sia il Secolo XIX ce la pubblicano. A quel punto decidiamo di aprire una pagina Facebook e la battezziamo TamTamLiguria. In pochi giorni molte centinaia di persone firmano la Lettera aperta, in poche settimane abbiamo migliaia di lettori. Presto mi rendo conto che la rete di cittadini impegnati a elaborare i dati dell’epidemia sui social è più ampia di quanto immaginassi. Siamo in molti a condividere la nostra insoddisfazione nei confronti della politica della regione e sui social creiamo una rete che si autoalimenta di notizie, riflessioni, grafici. È una ricchezza di informazione di cui non si vede traccia sui giornali della città: pigrizia? desiderio di non disturbare Toti a pochi mesi dalle elezioni? qualcuno spera che il “governatore” distribuisca i fondi della comunicazione regionale ai più devoti?

L’analisi

Per scrivere il libro bianco dobbiamo leggere decine di migliaia di pagine,  tra documenti della regione e rassegne stampa. Ci dividiamo il lavoro rinviando l’uscita del libro a dopo le elezioni: non vogliamo che venga accolto come un’operazione di propaganda. Mano a mano che approfondiamo i problemi, balza agli occhi la divaricazione delle curve dei contagi e della mortalità tra Liguria e Veneto, due regioni amministrate entrambe dal centrodestra. Il parallelo è sconfortante. In Veneto il professor Crisanti lancia il modello Vo’, proponendo il tampone a tutti i cittadini del piccolo paese, e poi chiede di applicare i controlli di massa a tutta la regione. In Liguria, al contrario, il professor Matteo Bassetti – che ha una grande influenza sulla giunta regionale - definisce “esagerato” il rumore che si fa intorno al coronavirus. In Veneto Zaia parla di medicina territoriale e moltiplica i servizi per assistere le persone a domicilio; in Liguria Toti e Alisa (l’azienda sanitaria regionale) scelgono la strada della centralizzazione, concentrando la cura dei malati e l’analisi dei tamponi all’Ospedale San Martino.

Per mesi i cittadini liguri faticano persino a ottenere risposte telefoniche: il numero verde viene istituito il 18 marzo, quando l’Italia ha già il record dei morti nel mondo. Non ottenendo risposta i cittadini si riversano sui pronto soccorso che arrivano presto al punto di saturazione.

Una sanità efficiente dovrebbe rispondere attivando un’adeguata assistenza domiciliare, specie in una regione come la Liguria, dove il numero di anziani è particolarmente elevato, per evitare che gli ospedali si intasino. Invece i medici di famiglia non vengono coinvolti, gli strumenti decisi dal governo per l’assistenza domiciliare (Usca) sono tardivi e insufficienti. Un’unica parola esprime la disperazione delle migliaia di cittadini liguri alle prese con i sintomi: abbandono.

L’Oms predica la strategia delle tre T (Testare, Tracciare, Trattare). Ma per realizzarla è necessario moltiplicare i tamponi, avere un buon esercito di tracciatori per seguire le catene dei contagi e un decente sistema informativo: invece in Liguria i laboratori sono pochi, esiguo il numero di operatori dedicati al tracciamento, alla presa in carico dei malati, ai tamponi.

In questo contesto disastrato le case di riposo rappresentano il versante più drammatico: tra il primo febbraio e il 15 luglio muoiono di Covid 772 persone, circa la metà dei morti in Liguria a quella data (1.561).

Le reazioni

Con i miei amici – che non hanno mai fatto i giornalisti – ci attiviamo per parlare con gli amici che lavorano in regione, in Alisa, nelle Asl, nelle residenze per anziani. Cerchiamo le fonti, condividiamo le notizie, verifichiamo i dati. Gli errori e le sottovalutazioni della regione nella gestione delle residenze per anziani sono lampanti: indicazioni contraddittorie sulla chiusura, mancanza di mascherine, attese di settimane o mesi per fare i tamponi. Quando la magistratura apre un’inchiesta, il 25 maggio, intervistato da Open, Toti colleziona una delle perle per le quali va famoso: “Le Rsa? la Regione c’entra poco, sono strutture private». Non sa che da anni la Regione le ha utilizzate come luogo di degenza low cost per post-acuti?

Per concludere il Libro bianco approfondiamo il confronto tra Liguria e Veneto. A marzo il Veneto era in una situazione molto simile a quella della Liguria: con una popolazione circa tre volte più grande aveva tre volte i morti e i contagi quotidiani. Alla fine di giugno la Liguria contava 100,5 morti Covid ogni 100 mila abitanti, il Veneto 40,9, meno della metà. Anche calcolando il cosiddetto “tasso standardizzato” che tiene conto del maggior numero di anziani, la Liguria ha quasi il doppio di mortalità. Quanti morti si sarebbero risparmiati se Toti avessero abbracciato la politica di Zaia? Un numero compreso tra 535 (secondo il tasso di mortalità “corretto”) e 924 (secondo il tasso grezzo) su un totale di 1.561. Sono numeri che ci fanno toccare con mano le conseguenze di una politica sbagliata sulla vita e la morte dei cittadini.

All’inizio di ottobre, dopo tre mesi in cui la Regione avrebbe dovuto riorganizzare la sanità seguendo precise indicazioni del ministero, non è stato fatto nulla. È sparito persino il numero verde. E oggi la Liguria è di nuovo in testa alle lugubri classifiche della pandemia, dopo Val d’Aosta e Lombardia.

Quando pubblichiamo il Libro bianco (in pdf), a metà novembre, pensiamo ingenuamente che i giornali locali ne parleranno: è denso di spunti, riflessioni, notizie. Non succede. Sul web il Libro viene scaricato da migliaia di persone, reso disponibile da alcuni giornali digitali della regione. Molte associazioni locali organizzano incontri su zoom. I giornalisti delle tv liguri ci invitano in studio o vengono a intervistarci armati di telecamere e mascherina. Sui giornali cartacei non esce una riga. Qualcuno dice che non hanno voglia di riconoscere che abbiamo fatto il lavoro che avrebbero dovuto fare loro.

Mi tornano alla mente le mille analisi che ho letto – e ho scritto – sulla crisi del giornalismo locale, sull’incapacità – prima di tutto culturale – di entrare in relazione con un mondo dove l’informazione dilaga in mille forme anche grazie al lavoro di esperti che, nei diversi settori, mettono le proprie conoscenze al servizio della comunità. Mai come in questo caso la distanza tra il giornalismo cartaceo e la società reale mi è sembrata così incolmabile.

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