«Cosa ci vuole a scrivere due righe dolenti sui social? Credono di pulirsi la coscienza mettendo un like». Queste critiche le sentiamo da anni, soprattutto quando accade qualcosa di grave e «la rete insorge con indignazione». Del resto a tutti capita di pensare che la valanga di commenti su internet non serve a nulla ed è un modo infantile di affrontare i problemi. Un generatore di polemiche.

«Ci vorrebbero, invece, gesti concreti». La parola “gesto” è oggi seducente, ancor più se accompagnata da “concreto”. Nel mondo smaterializzato evoca un movimento reale del corpo, una tangibilità che vorremmo recuperare. Esprime l’identità, e noi amiamo l’identità: un individuo è anche la somma dei suoi gesti.

Certo pure un like è un gesto, ma è il fondo del barile dei gesti, un fremito, non costa niente, basta un dito. Tuttavia da tempo i social somigliano a un mercato, misurano di continuo le reazioni determinando il “valore” degli argomenti del giorno, e i mercati come sappiamo spostano grandi masse di denaro partendo da stimoli anche piccolissimi. Quindi?

Accantoniamo un attimo internet e pensiamo, in generale, ai gesti di natura politica. Direi che sono di tre tipi. Il primo, più clamoroso, prevede di opporsi fisicamente al nemico, mettendo in gioco l’incolumità: rischiare di morire per un’idea.

Il secondo tipo ha a che fare con la dimostrazione delle proprie convinzioni attraverso una posa simbolica. In questo caso non c’è una minaccia fisica (chi compie il gesto non pensa che ci sia).

C’è però un coinvolgimento del corpo. Immaginiamo dei negazionisti del Covid che manifestino togliendosi la mascherina. Non pensano certo di ammalarsi (non sarebbero negazionisti), dal loro punto di vista il gesto è un simbolo, ma un simbolo inserito nel mondo fisico. Infine c’è il terzo tipo di gesto: l’immateriale. Presenta vari gradi di percettibilità.

Se un personaggio famoso fa una dichiarazione, le conseguenze avranno una dimensione visibile. Se un anonimo utente Twitter mette un like, le conseguenze del singolo gesto non saranno subito misurabili.

Un tempo quello che oggi accade su internet accadeva al bar, si dice. Il bar dove una volta avvenivano le chiacchiere, quelle che oggi sui social hanno (sempre si dice) una visibilità che prima non c’era. È così? In realtà il singolo gesto social non ha per forza una visibilità superiore rispetto alle parole di un tizio al bar. Ogni giorno su internet si verificano miliardi di gesti. Assumono visibilità solo quando si scatena la viralità, la spirale che il social come tecnologia rende possibile. «Ma poi, dopo poco, l’indignazione collettiva si spegne e non è cambiato nulla». Nulla? Siamo sicuri?

Il social è una struttura vivente, elabora il consenso ed emette fiammate. Il consenso è il risultato di tante particelle di pensiero che nel tempo danno forma alla cultura. Come i segnali di prezzo in un mercato, che vanno a costituire le basi di un’economia. Lì per lì sembrano effimeri. Nel lungo periodo comporranno un disegno che a posteriori forse non apparirà casuale.

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