Il Monte dei Paschi di Siena (Mps) è da anni in costosa cura; lo Stato s'è impegnato con la Ue a uscirne entro Dicembre. Perciò il governo sigla un pre-accordo per il passaggio del 65 per cento a Unicredit. È stato bene annunciarlo, per chiudere tutto molti dettagli van definiti; serve tempo, nel silenzio la speculazione avrebbe celebrato.

L'accordo conviene a entrambe le parti. Lo Stato mantiene l'impegno e si libera di attivi rivelatisi grandi passivi. Il nuovo management di Unicredit usa grandi aiuti pubblici sulle perdite fiscali e amplia la presenza italiana, il contrario di quanto voleva il precedente.

Il diavolo sta nei dettagli, ora inizia la parte difficile; van definiti aspetti di grande rilievo, come il trattamento dei crediti dubbi, del contenzioso, l'eventuale scissione di parti di Mps (l'aborrito “spezzatino”), il personale in eccesso.

I partiti chiedono che, prima della trattativa con Unicredit, il governo concordi i dettagli con il parlamento; lo reclamano tutti, in mirabile sintonia, ma le loro richieste privilegiano l'interesse di parte su quello generale.

Di tali richieste, anche contrastanti, fingerà di dolersi Unicredit, ma è chiaro che esse indeboliranno la già fragile posizione del venditore, cioè noi tutti. Unicredit fa richieste precise, al cui accoglimento legittimamente subordina l'operazione. Vuole una scissione per acquisire le parti di suo interesse, escludendo i crediti dubbi e anche quelli, oggi buoni, che andranno a male.

Il problema dei partiti

Se il governo si vincolasse alle pronunce dei partiti e di alcuni ministri - anche per Renato Brunetta, Funzione pubblica, lo spezzatino è indigesto - l'operazione sarebbe già morta. Date le condizioni di Unicredit, quali alternative abbiamo, forse un bue arrosto intero, però marcio? Non si capisce perché anche persone intelligenti come Brunetta amino la “bella figura” nei titoli dei quotidiani, a costo dell'inevitabile “brutta figura” quando saranno smentite. Sa bene anch'egli che l'alternativa è ripianare sempre nuove perdite in Mps.

L'azionista al 65 per cento è il ministero dell'Economia, retto dall'ex direttore generale della Banca d'Italia, Daniele Franco; l'uomo è adatto a difendere l'interesse pubblico e lavorerà con il presidente del Consiglio Mario Draghi. Anche questi, da “curriculum ambulante” avrà l'esperienza giusta, dovrà convenirne Marco Travaglio (sarebbe forse meglio un incompetente?). Chiudano l'operazione, al meglio dell'interesse pubblico ottenibile; il parlamento potrà approvare o bocciare la loro opera, come farebbe l'assemblea degli azionisti, che non si sostituisce al consiglio di amministrazione.

Evitiamo d'arrivare a fine anno esponendoci all'umiliante richiesta di dilazioni alla Ue. A Dicembre la fretta sarebbe cattiva consigliera, lo mostra la storia delle banche venete (giugno 2017). Sotto la pressione degli eventi il governo concesse a Intesa SanPaolo, che ne rilevava le parti buone, contributi a fondo perso di 5 miliardi, a fronte delle maggiori necessità di capitale legate a quegli asset. Unicredit ora chiede “neutralità di capitale” nell'operazione; traspare evidente la richiesta d'un trattamento simile a quello, troppo privilegiato, concesso alla grande rivale domestica.

Se lo Stato deve dare a Unicredit il patrimonio necessario a rilevare Mps, sottoscriva un aumento di capitale del primo, ad un premio oltre la quotazione di mercato che renda l'operazione non diluitiva per Unicredit. Anziché un pugno di mosche, e neanche un grazie, avrà almeno titoli che avranno un valore; se va bene, si rivaluteranno pure nel tempo, facendoci rientrare dall'investimento.

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