Nel Consiglio dei ministri di venerdì 9 maggio a palazzo Chigi, il governo ha deliberato di impugnare la legge della Regione Toscana sul fine vita. La legge, votata dall'assemblea l’11 febbraio scorso, era entrata in vigore nel mese di marzo in modo abbastanza travagliato.

Infatti, dopo l’approvazione, essa era stata oggetto di un ricorso presentato da Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega al Collegio di garanzia, organo ausiliario regionale. Solo dopo che il Collegio aveva deciso che la legge non comportasse alcuna violazione, essa era stata pubblicata sul Bollettino ufficiale della Regione, il 17 marzo scorso. Da quella data sono iniziati a decorrere i 60 giorni per l’impugnazione davanti alla Corte costituzionale.

Il ricorso

Il ricorso alla Consulta non è giunto inaspettato, essendo stato preannunciato. Secondo quanto si legge nel comunicato stampa diramato al termine del Consiglio dei ministri, la legge toscana «esula in via assoluta dalle competenze regionali e lede le competenze esclusive dello Stato in materia di ordinamento civile e penale e di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, nonché il riparto di competenze in materia di tutela della salute». In altre parole, la tutela della salute, cui è riconducibile il fine vita, rientra nell’art. 117, comma 3, della Costituzione, in base a cui la potestà legislativa concorrente delle regioni va esercitata nel rispetto dei principi fondamentali.

E la definizione di questi ultimi è riservata alla legislazione dello Stato. L’incostituzionalità della legge toscana deriverebbe, quindi, dalla mancanza di una legge statale. Mancanza che a propria volta impedirebbe siano soddisfatte le esigenze di eguaglianza in tema di salute sull’intero territorio nazionale. Il governo, evidentemente, non ha tenuto conto del fatto che i principi essenziali cui la normativa regionale deve attenersi sono stati già fissati nella pronuncia con cui la Corte costituzionale, nel 2019 (cosiddetta sentenza Cappato ndr), data l’inerzia del parlamento in tema di suicidio medicalmente assistito, ha fissato le condizioni per potervi ricorrere. E la sentenza della Consulta ha valore di legge.

In particolare, la Corte ha affermato che tale pratica è legittima per una persona «(a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

In queste ipotesi, l’aiuto di terzi nel porre fine alla sua vita «può presentarsi al malato come l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare». Con una sentenza del 2024, poi, la Corte ha incluso nel requisito del trattamento di sostegno vitale le procedure compiute da familiari o caregivers, in assenza delle quali il paziente morirebbe.

La necessità di regolare il fine vita

Le disposizioni della regione Toscana sul fine vita, come quelle delineate o in via di definizione da parte di altre regioni, si rendono necessarie in quanto i giudici costituzionali, pur dettando le condizioni per il ricorso al suicidio medicalmente assistito, non hanno prescritto un limite di tempo entro cui il servizio sanitario sia tenuto a rispondere, in base a una procedura chiara, alle persone che hanno richiesto di porre fine alla propria vita. In altre parole, tale diritto è riconosciuto, ma non è esercitabile se non con modi e tempi tortuosi e incerti.

La legge toscana non incide sui principi fissati dalla Corte – cui anzi si attiene espressamente – ma si limita a dettare norme a carattere organizzativo e procedurale per disciplinare in modo uniforme sul proprio territorio l’esercizio delle funzioni che la Consulta ha attribuito alle aziende sanitarie.

In conclusione, anziché colmare il vuoto normativo in tema di aiuto medico alla morte volontaria dei malati terminali che lo richiedano, il governo ha deciso di ostacolare regioni che come la Toscana – ma anche come l’Emilia-Romagna, le cui deliberazioni in tema di fine vita sono pure oggetto di ricorso – intendono garantire sul proprio territorio un diritto già pienamente riconosciuto dalla Consulta.

Chi patisce sofferenze inenarrabili, cui voleva mettere fine, dovrà attendere ancora. Non servono altre parole.

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