Il governo non cadrà sull’aumento delle spese militari. Il leader dei Cinque stelle Giuseppe Conte ha provato a cavalcare il malessere diffuso contro la guerra per risalire nei sondaggi, il premier Mario Draghi ha drammatizzato la polemica per mandare un messaggio a tutti i partiti della maggioranza: non si fa campagna elettorale sulla legge di Bilancio, che inizia ora il suo percorso con il Documento di economia e finanza.

Questa micro-crisi è che ci ha rivelato quanto poco si discuta di un pezzo significativo della spesa pubblica, quella destinata alla difesa e quanto sia facile manipolare i dati, per esempio parlando di spesa in rapporto al Pil. Un governo controlla il numeratore (la spesa) ma non il denominatore (il Pil), e quindi le oscillazioni possono dipendere non da quanti soldi si mettono su carri armati e droni ma da come va la crescita, che tra 2020 e 2021 è stata falcidiata dal Covid.

Se guardiamo le spese finali del ministero della Difesa autorizzate dalle leggi di Bilancio in questa legislatura, vediamo che sono salite da 20.968,9 miliardi del 2018 a 21.432,2 nel 2019 a 22.941,8 nel 2020 poi 24.5832,2 nel 2021 e 25.956,1 nel 2022.

I due governi Conte hanno quindi varato aumenti di spesa per la difesa del 7 e del 7.2 per cento, la prima legge di Bilancio del governo Draghi, votata anche dai Cinque stelle, ha previsto un ulteriore aumento del 5.6 per cento nel 2022 e riduzioni dell’1.8 e del 2 per cento nei 2023 e 2024. Che titolo ha Conte per proclamarsi pacifista?

Ora si parla di un aumento fino a 38 miliardi, ma la polemica di Conte non è sul “se” aumentare la spesa ma “in quanto tempo”.

E invece bisognerebbe discutere le premesse di questo ragionamento e le sue conseguenze. Nel 1957 i paesi fondatori della Comunità europea spendevano il 4 per cento del Pil per la difesa, poi sono scesi sotto il 2: certo, si sono appoggiati agli Stati Uniti, certo ma anche nel 1957 la Guerra fredda c’era già da oltre un decennio. Il punto è che il progetto europeo voleva costruire un ordine internazionale fondato sulle istituzioni, non sulla deterrenza, e ha funzionato.

Lo sanno anche quegli europeisti che ora cavalcano il riarmo nella convinzione che Vladimir Putin abbia offerto l’occasione di compattare l’Ue su difesa e politica estera così come il quasi-default della Greca nel 2009 ha spinto all’unione bancaria e la pandemia all’emissione di debito comune nel 2021.

In questo il cinismo degli europeisti non è diverso da quello delle lobby della difesa che vogliono usare Putin e l’Ucraina per accelerare commesse miliardarie (fino a un mese fa le priorità erano salute e transizione ecologica).

Vogliamo tutti più sicurezza, se qualcuno pensa che questa derivi da una maggiore spesa militare deve dimostrarlo, non metterlo in premessa.

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