Ormai è diventata una consuetudine che all’avvio di ogni nuova amministrazione americana la Corea del Nord si faccia notare con azioni eclatanti, come test nucleari o lanci di missili a lunga gittata. Nel caso dell’amministrazione Obama ciò condusse ben presto ad uno stallo sostanziale nelle relazioni bilaterali, mentre il suo successore, Donald Trump, rispose minacciando una severa risposta militare per poi indulgere in un fallimentare tentativo negoziale.

Sono ormai vari decenni, quindi, che la Corea del Nord rappresenta una spina nel fianco degli Stati Uniti, che non sono mai riusciti a spianare la strada all’unica soluzione ritenuta accettabile, e cioè lo smantellamento dell’arsenale nucleare nordcoreano.

L’arcigna resistenza offerta da Pyongyang a qualunque possibilità di rinunciare al proprio status di potenza nucleare gli ha consentito, al contempo, di accumulare nuove testate – il cui numero dovrebbe aggirarsi allo stato attuale tra le venti e le sessanta unità, con la capacità di produrne almeno cinque o sei ogni anno – e di compiere un enorme balzo in avanti sul piano tecnologico.

Era quindi abbastanza scontato che anche la neo-amministrazione Biden ricevesse il “battesimo del fuoco” da parte della Corea del Nord, che, infatti, nel corso di una settimana ha effettuato ben due test missilistici.

In quello più recente sono stati utilizzati due vettori a corto raggio (secondo i nordcoreani però si sarebbe trattato di nuovi missili tattici) che, alla fine di una traiettoria di circa 280 chilometri, si sono inabissati nel Mar del Giappone, in violazione delle risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nei confronti di Pyongyang.

Mettere Biden alla prova

Per chi conosce il comportamento del regime nordcoreano i motivi del lancio non sono difficili da spiegare. In primo luogo si tratta di mettere alla prova la nuova amministrazione americana, facendo in modo da conquistarsi l’attenzione di Biden.

La speranza della leadership nordcoreana è quella di riuscire, attraverso tali azioni minacciose, a ridare vita ad una canale diplomatico con gli Stati Uniti; una volta riottenuto un posto al tavolo negoziale con Washington, i nordcoreani cercheranno di ottenere l’annullamento, almeno parziale, delle sanzioni, che hanno seriamente fiaccato il paese dal punto di vista economico, prima di accondiscendere a qualunque tipo di smantellamento del programma nucleare.

Gli americani, però, sono da sempre convinti del fatto che prima di procedere all’ammorbidimento del regime sanzionatorio sarebbe necessario verificare tangibilmente la volontà del regime nordcoreano di procedere allo smantellamento. Questo nodo gordiano ha tradizionalmente reso vano qualunque negoziato tra le parti.

Alle consuete difficoltà economiche, però, si è andato a sommare di recente il Covid-19 che – nonostante il regime continui a spergiurare l’assenza assoluta di casi in Corea del Nord – ha costretto a una rapida impermeabilizzazione delle frontiere, rendendo di fatto le relazioni commerciali e l’afflusso di aiuti da paesi vicini, come la Cina, enormemente difficile. In soldoni, quindi, questa nuova sventagliata di missili è volta a comunicare agli Stati Uniti di porre fine alle sanzioni, altrimenti le relazioni diventeranno necessariamente più tese.

L’altra questione di fondo, a cui molto spesso non si concede la debita importanza, è rappresentata dal fatto che questi lanci sono rilevanti per la Corea del Nord al fine di continuare a testare e migliorare le proprie capacità militari.

Rendere il paese ancor più reattivo dal punto di vista militare, d’altronde, era una delle promesse fatte dal leader Kim Jong Un alla popolazione del suo paese a gennaio scorso, quando, lanciando un avvertimento, disse che se questi lanci non fossero stati presi sul serio dalla comunità internazionale avrebbero inevitabilmente portato a conseguenze peggiori, come, per esempio, al lancio di vettori a lungo raggio capaci di trasportare testate nucleari miniaturizzate.

È ovvio che in quest’ultimo caso la reazione da parte degli americani sarebbe abbastanza scontata. Allo stato attuale, comunque, sembra ipotizzabile che Kim stia deliberatamente evitando di mostrare la piena capacità del proprio potenziale militare: conquistare l’attenzione di Biden sperando di ritornare a fruttuosi negoziati è una cosa, scatenare l’ira degli americani è tutt’altra.

Gli americani, intanto, giurano che il dossier riguardante la Corea del Nord è ormai prossimo alla conclusione e verrà ben presto dettagliatamente discusso con gli alleati regionali, vale a dire Tokyo e Seoul.

Biden stesso si è detto contrariato dal nuovo lancio e ha rimarcato che in ogni caso gli Stati Uniti sono pronti a rispondere alla minaccia. Se si entrerà in una nuova fase negoziale o si andrà verso l’abisso è solo una questione di tempo.

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