Il mondo Maga e Israele: lo scisma dei neocon

La Republican Jewish Coalition (Rjc), organizzazione politica fondata nel 1985, ha tenuto negli ultimi giorni il suo summit annuale per celebrare i 40 anni dalla sua fondazione. L’obiettivo della Rjc è quello di promuovere e sostenere gli ebrei repubblicani e rafforzare i legami tra la comunità ebraica americana e i leader del Partito repubblicano. In numerosi interventi del summit è stata sottolineata la rilevanza della faglia, sempre più profonda, che impatta sui rapporti tra il mondo Maga e il Partito repubblicano e che riguarda la postura nei confronti dello Stato d’Israele. Su tutti, è probabilmente l’intervento infuocato di Mark Levin, intellettuale d’area particolarmente influente, a segnalare che siamo forse entrati per davvero in quella che Nick Fuentes ha definito «la guerra civile repubblicana». L’incandescente intervento di Levin non è semplicemente un discorso, potrebbe invece essere un documento storico che segnala la manifestazione pubblica di uno scisma. Israele, ancora raid su Gaza. È sfida continua alla tregua Per anni, l'assioma dell'era Trump, ovvero che il movimento Make America Great Again fosse monolitico e incondizionatamente allineato allo Stato di Israele, grazie a una fusione tra geopolitica neocon e fervore evangelico, è stato inscalfibile. Il discorso di Levin funge da detonatore, esponendo una frattura dottrinale che minaccia di scindere il movimento ora diviso in una guerra civile tra neoconservatori e paleoconservatori. Un vecchio conflitto ideologico che il Partito repubblicano credeva di aver sepolto negli anni Novanta. Da questo punto di vista, il discorso di Levin è un manifesto dell'ortodossia neocon-evangelica. Quando Levin attacca, nominandoli, figure come Tucker Carlson, Nick Fuentes, Candace Owens e Marjorie Taylor Greene, non sta semplicemente denunciando il loro presunto antisemitismo. Sta difendendo un sincretismo ideologico decennale. In questa visione il supporto allo Stato d’Israele non è una mera questione di policy. Costituisce un imperativo morale e teologico. È il cuore del sionismo cristiano, la dottrina per cui il destino escatologico dell'America è indissolubilmente legato alla protezione di Israele. Levin è esplicito: i recenti attacchi di Tucker Carlson e Nick Fuentes al sionismo cristiano sono l'eresia massima, un attacco alla «fondazione giudaico-cristiana» dell'America. Per Levin “patriota americano” e “patriota israeliano” sono da considerarsi come sinonimi. In questo schema, la dottrina neocon (interventismo morale, difesa dell'Occidente) si salda al destino biblico. Le accuse di essere “ammiratori di Hitler” o “Neanderthal” rivolte da Levin agli esponenti che hanno sposato la causa del ritorno del paleoconservatorismo segnalano che siamo ben oltre la competizione interna fra correnti e quanto il ritorno dell’isolazionismo e del nazionalismo culturale costituisca una sfida non solo per gli Stati Uniti in generale, ma anche per la competizione interna al mondo conservatore. Così le accuse di Carlson e Fuentes contro il sionismo cristiano o la messa in discussione degli aiuti militari e finanziari allo Stato d’Israele, portata avanti con forza da Candace Owens, si spingono fino ad insinuare un possibile conflitto di lealtà. Questo perché nell’approccio di questa fazione non si rigetta la “relazione speciale” con Israele per antisemitismo esplicito (sebbene si lambiscano spesso idee pericolose), ma perché l'alleanza incondizionata fra i due stati è vista come il tradimento ultimo del vero “America First".” Ai loro occhi, l'establishment ha trasformato il mondo Maga in un servitore d’interessi stranieri. Fino ad oggi Donald Trump è stato il veicolo politico che ha consentito a questi mondi di coesistere sotto lo stesso tendone. La retorica del presidente degli Stati Uniti è stata contraddistinta da un approccio paleoconservatore: “America First”, scetticismo verso la Nato, fine delle “guerre infinite”, attacchi al “globalismo”. La politica estera, soprattutto nei confronti dello Stato d’Israele, ha invece seguito un approccio neoconservatore: lo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme, gli Accordi di Abramo, il ritiro dall'accordo sul nucleare iraniano. Una perfetta politica dei due forni. La personalità imprevedibile di Trump ha consentito di tenere insieme questa contraddizione che ora però rischia di esplodere. Il discorso di Levin appare dunque come il tentativo dell’ala neocon di epurare l’ala paleocon. È la richiesta di scegliere quale “America First” debba prevalere: quello teologico-interventista di Levin, o quello nazionalista-isolazionista di Carlson e Fuentes. Il conflitto è esiziale perché non è politico, ma teologico e riguarda, in larga parte, il ruolo del sionismo cristiano nel pantheon politico del Partito repubblicano. Come dimostra la furia di Levin, difficilmente ci sarà spazio per un compromesso dottrinale. Sangue a Gerusalemme, Israele giura vendetta. Netanyahu: «Non ci fermeremo»