Appare molto velleitaria la posizione di alcuni nel Movimento 5 Stelle che sembrerebbero inclini ad andare all’opposizione. C’è già un’opposizione al governo Draghi. Orgogliosamente e sulla cresta dell’onda, che è quasi tutta sua, si staglia Giorgia Meloni.

Chiunque altro volesse schierarsi contro Draghi avrebbe pochissima visibilità e perderebbe qualsiasi influenza su quello che il governo fa, non fa, fa male (sì, succede anche questo). A meno che, naturalmente, i nuovi oppositori pentastellati intendano mettere in crisi il governo dei migliori, operazione che può essere fatta anche nel semestre bianco, ma probabilmente esiziale per chi la tentasse.

Qualcuno di loro è consapevole che tutte le difficoltà che incontrano e nelle quali si dibattono, esistevano già da prima della caduta del secondo governo Conte e c’entra pochissimo con il governo Draghi. 
Sono contraddizioni strutturali che il Movimento porta con sé fin dal primo successo nelle elezioni del febbraio 2013. Come passare da un ruolo anti-sistemico al governo del sistema politico. Come agire in Parlamento senza perdere la carica anti-parlamentare. Come “istituzionalizzarsi” senza comprimere perdere le caratteristiche di slancio e entusiasmo del Movimento.

Non c’è nessuna risposta semplice e univoca a queste domande. Però, tutti, pentastellati compresi, dovrebbero avere imparato quanto, al tempo stesso, solide e flessibili (qui, forse, appropriatissimo sarebbe scrivere “resilienti”), possano essere le democrazie parlamentari, compresa quella italiana. 

Privi fin dal principio di qualsiasi cultura politico-istituzionale, dirigenti e attivisti del Movimento non hanno saputo apprendere nessuna lezione specifica.

Le espulsioni e le dimissioni non hanno quasi nessun riferimento al problema principale: come mantenere la carica di trasformazione dovendo affrontare e svolgere compiti di governo che sempre sempre implicano compromessi e mediazioni.

Come rivendicare quanto fatto, almeno il reddito di cittadinanza e la riduzione del numero di parlamentari, anche se può apparire poco a fronte di promesse esagerate (ad esempio, in materia di democrazia diretta). Recuperare l’ortodossia che si è rivelata inadeguata e che ha ricevuto qualche dura lezione appare sostanzialmente improponibile.

Mettersi duri e, almeno in parte, puri all’opposizione non garantisce nessun recupero. Procedere con e nel governo Draghi appare problematico per la visibilità e l’influenza del Movimento, soprattutto se, come sembra inevitabile, sarà Draghi a intestarsi le riforme “buone”.

Non so quanto sia corretto definire eterodossi, devianti rispetto alla purezza originaria, coloro che intendono restare al governo e tentare di imprimere (anche) il loro marchio sui successi. Penso di sapere che qualche volta chiudere in maniera improvvisata una crisi, politica e culturale, come quella nella quale si dibatte il Movimento, è peggio che lasciarla fluire, meglio essendo al governo che all’opposizione.
 

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