Nella notte del 13 ottobre è stato firmato il nuovo Decreto del presidente del Consiglio (Dpcm). Durante i mesi estivi, quando la curva dei contagi sembrava in declino, si era lasciato intendere che sarebbero stati abbandonati i Dpcm, in favore del decreto legge, strumento previsto dalla Costituzione in casi di «necessità e urgenza». Invece, l’atto amministrativo del vertice dell’esecutivo – che da febbraio è stato piegato a finalità normative, arrivando a limitare libertà e diritti tutelati costituzionalmente - continua a regolare la vita degli italiani.

Nell’attuale Dpcm ci sono disposizioni che sollevano dubbi. In particolare, quella che vieta le feste nei luoghi al chiuso e all’aperto; consente le feste conseguenti alle cerimonie civili o religiose con la partecipazione massima di 30 persone, nel rispetto dei protocolli e delle linee guida vigenti; con riguardo alle abitazioni private, raccomanda fortemente di evitare feste, nonché di evitare di ricevere persone non conviventi di numero superiore a 6. Innanzitutto, la specifica indicazione da parte dello Stato degli eventi meritevoli di essere festeggiati denota una valutazione morale di cui si sarebbe fatto volentieri a meno.

Divieto o raccomandazione?

I profili critici in diritto sono però altri. C’è «divieto» di feste in tutti i luoghi al chiuso, ma qualche riga dopo si aggiunge la «forte raccomandazione» – non diversa, quanto a effetti, rispetto a una raccomandazione semplice - di evitare feste nelle abitazioni private: tra divieto e raccomandazione, chi legge potrebbe restare disorientato. Ma il domicilio privato è inviolabile per dettato costituzionale, salvo casi specificamente previsti, e questo è il motivo per cui il governo poteva solo “raccomandare”, a meno che una legge non introducesse una nuova ipotesi di accesso nelle case.

Lascia pure perplessi che un atto come il Dpcm, contenente disposizioni cogenti, preveda anche raccomandazioni. Principi di buona regolamentazione impongono che disposizioni con valenza diversa siano veicolate mediante canali distinti.

Si potrebbe generare la convinzione che l’oggetto della raccomandazione sia di minor valore, quindi sostanzialmente inutile, rispetto a prescrizioni vincolanti del medesimo testo normativo. In altre parole, potrebbe accadere l’opposto di quanto ipotizzato da Ranieri Guerra, componente del Comitato tecnico-scientifico, secondo il quale la regola sulle feste private ribadisce «l’elemento di forte allarme che esiste». Peraltro, le disposizioni non possono perseguire finalità emozionali.

Infine, la differenza numerica tra partecipanti a cerimonie, 30 persone al massimo, e riunioni in abitazioni private, cioè non più di 6 persone non conviventi, forse si basa sul presupposto che le cerimonie si festeggiano in locali pubblici, che essi sono più ampi di case private e, quindi, vi sono minori possibilità di «assembramento». Ma qualcuno potrebbe obiettare circa il limite numerico in abitazioni grandi o con giardino, e così trascurare quanto disposto.

Il ministro della Salute Roberto Speranza ha detto che per verificare il rispetto della regola sulle feste private conta sulle «segnalazioni», evidentemente di altri cittadini. Ma la delazione - che potrebbe avvenire anche per ripicche o pretesti - alimenta il clima da stato di polizia dei mesi scorsi.

I ristoranti: in piedi o seduti?

Un’altra norma solleva dubbi: le attività dei servizi di ristorazione sono consentite «sino alle ore 21.00 in assenza di consumo al tavolo», con «divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze». Assembramenti di persone senza mascherina nei pressi dei locali favoriscono il contagio. Ma, invece di regolamentare situazioni specificamente «localizzate», sarebbe stato meglio sancire un criterio generale, valido ovunque vi siano condizioni similari. Una disciplina per principi, che detti una regola valida in ogni caso, renderebbe la regola stessa applicabile anche nelle ipotesi che invece restano escluse a causa del dettaglio della disposizione.

Obbligo incerto di mascherine

Circa la norma sulle mascherine, ribadita dal Dpcm, si è scritto in occasione del decreto-legge che le ha rese obbligatorie «nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in tutti i luoghi all'aperto a eccezione dei casi in cui (…) sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi». Chi potrà assicurare «in modo continuativo» che non si imbatterà in nessun altro, anche se cammina in uno spazio apparentemente deserto?

C’è l’obbligo delle mascherine, ma al contempo la possibilità di derogarvi se ci si trova in un luogo isolato, e siccome non ci sono garanzie dell’isolamento costante, le forze dell’ordine potranno esercitare ampia discrezionalità nei controlli effettuati. Circa la «forte» raccomandazione di indossare mascherine anche nelle abitazioni private «in presenza di persone non conviventi» vale quanto detto sopra, con riguardo all’impossibilità di controlli nelle case.

La circolare prima del jogging

Invece, relativamente alla differenza tra attività sportiva, per cui non vige l’obbligo di mascherina, e attività motoria, per cui essa è prevista, serve consultare una circolare esplicativa del ministro dell’Interno, a propria volta spiegata da un’intervista del capo di gabinetto del Viminale: già il solo fatto che disposizioni normative necessitino di essere interpretate da una circolare induce dubbi sulla chiarezza del diritto, e dunque sulla sua certezza. E se, comunque sia, la gente fa moto, invece il governo resta fermo, inchiodato alle stesse dinamiche – anche regolatorie – dei mesi scorsi, com’è palese in base a quanto finora esposto.

Anziché divieti e raccomandazioni per incontri familiari, regole minuziose e distinzioni che ingenerano confusione, al fine di fronteggiare in modo adeguato la seconda ondata, ampiamente prevista, il governo avrebbe dovuto aumentare la capacità di fare tamponi e tracciare davvero  il contagio; rendere disponibile il vaccino anti-influenzale, che gli specialisti raccomandano da mesi; far effettivamente osservare i divieti di assembramento sanciti nei mesi scorsi. Si tratta di obiettivi essenziali, che l’esecutivo doveva garantire, e che invece non ha raggiunto.

«Se vogliamo che la legge venga rispettata, per prima cosa dobbiamo fare leggi rispettabili», diceva Louis Brandeis, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti. Se pure i governanti si mostrassero rispettabili, svolgendo efficacemente i propri compiti, sarebbe ancora meglio.

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