Si vede in questi giorni l’embrione di un nuovo partito romano, come negli anni Cinquanta-Sessanta, che vorrebbe incidere sul conclave con l’elezione di un pontefice italiano di Curia, per poi passare al cortile di casa, l’Italia, il reticolo di poteri che si ricompone attorno alla pretesa identità cattolica
Il prossimo papa sia «profetico», è l'aggettivo che il portavoce della Sala stampa vaticana, Matteo Bruni, ha utilizzato ieri per sintetizzare gli auspici delle ultime congregazione dei cardinali prima dell’inizio del conclave. Tra le profezie avverate nell’ultimo mezzo secolo c’è quella di una chiesa più universale, ma anche di un papa non più italiano, dopo quattrocento anni di storia.
Nel secondo conclave del 1978, dopo la drammatica spaccatura tra i cardinali Giuseppe Siri e Giovanni Benelli, arrivò Karol Wojtyla, il papa slavo, come aveva previsto nel 1848 l’ode del poeta polacco Juliusz Slowacki: «Ecco che viene il papa slavo, Fratello del popolo, Costui davanti alle spade non sfugge, come quest’italiano...».
Poi Joseph Ratzinger, tedesco di nascita, curiale di appartenenza, italiano per frequentazioni, non troppo fortunate. Infine Jorge Mario Bergoglio, il papa arrivato quasi dalla fine del mondo, italiano di origine, distante dalle micro-vicende domestiche.
La democrazia stanca
Nei suoi discorsi ci sono tante riflessioni sulla democrazia stanca, la fatica della democrazia, la sua incapacità di rispondere alle sue promesse di liberazione delle persone. Quello che mesi fa ha fatto dire al cardinale Matteo Zuppi che la chiesa è arrivata in ritardo a scoprire la democrazia, ma grazie a Francesco è arrivata prima di altri a denunciare la sua crisi. Ma faticheranno gli storici a cercare negli interventi di Francesco indicazioni di pronto uso o benedizioni per i politici italiani, non ne troveranno nessuna.
Un’assenza che spiega, oggi, il desiderio non troppo celato che spunta nel dibattito pubblico, sulla stampa, di un nuovo papa che chiuda questa parentesi. È il sogno di un papa di nuovo italiano, anzi romano, meglio ancora curiale, come sarebbe per gli italiani il cardinale Pietro Parolin, l’entusiasmo tra alcuni politici e firme per un nome già conosciuto, che a sua volta riconosca.
Si vede in questi giorni l’embrione di un nuovo partito romano, come negli anni Cinquanta-Sessanta, che vorrebbe incidere sul conclave con l’elezione di un papa italiano di Curia, per poi passare al cortile di casa, l’Italia, il reticolo di poteri che si ricompone attorno alla pretesa identità cattolica.
La strada di Meloni
La fine dell’unità politica dei cattolici nella Dc è coincisa con il lungo pontificato di Giovanni Paolo II, dopo che il cattolicesimo democratico era rimasto privo dei suoi principali interpreti, Aldo Moro e Giovanni Battista Montini, Paolo VI.
Al posto della Dc, nel bipolarismo, arrivò l'era dei principi non negoziabili, l’unità dei cattolici sui valori, che lasciò mano libera alla leadership del cardinale Camillo Ruini e al patto di ferro con Silvio Berlusconi. Pagando il prezzo di chiudere gli occhi sulla scristianizzazione che avanzava nella società per lucrare dei privilegi consentiti a un ristretto circuito di micro-notabili ecclesiastici e di laici atei devoti, che sulla loro devozione hanno costruito solide carriere ministeriali.
L’attivismo di Giorgia Meloni a segnalare urbi et orbi il suo rapporto personale con papa Francesco è un’ipoteca sul futuro. A differenza di Matteo Salvini, che brandendo il rosario nelle piazze sembrava auspicare uno scisma interno alla chiesa sulla questione migranti tra pro e anti Bergoglio, Meloni, consigliata da Alfredo Mantovano, ha preferito seguire una strada più accomodante.
Il papa italiano
Oggi c’è l’illusione che il ritorno del papa italiano possa segnare una crescita di autorevolezza dell’Italia nel mondo. E anche un appoggio alla destra che la governa. Ma potrebbe al contrario portare a una provincializzazione della chiesa universale, il rischio che sta più a cuore al Sacro collegio. Tra i cardinali non c’è più un generico umore anti-italiano, come nel 2013. Ma resta la consapevolezza di un processo globale che deve continuare.
«Solo ancora vivente tra i grandi monumenti romani, solo ancora intatto, solo ch’esplichi oggi lo stesso compito assegnatoti nel giorno in cui sorgesti e ospiti i medesimi riti e ascolti i medesimi inni, partecipi però con tutti i monumenti millenari di questa città al compito ammonitore: ricordare agli uomini quale piccola cosa siano i loro contrasti, quanto effimera sia ogni vicenda che abbia come metro generazioni umane», scrisse Arturo Carlo Jemolo nella pagina finale del suo Chiesa e stato in Italia, commentando un secolo italiano, dalla fine del potere temporale del papa all’affermazione della Dc. «Un secolo: la passione di tre, forse di quattro generazioni, cento anni: breve momento, piccola vicenda nella eterna storia dei rapporti tra umano e divino». Anche mezzo secolo di papi non italiani è un breve momento. E non è detto che sia finito.
© Riproduzione riservata