Più si approfondiscono i temi della suddivisione dell’Italia in “zone” di diversi “colori”, dei criteri di valutazione e della ripartizione di competenze fra governo e regioni nel contrasto al Covid-19, più si rilevano elementi che lasciano perplessi.

Di uno si è già trattato in un articolo precedente: la norma di un decreto-legge (d.l. n. 125/2020, a modifica del d.l. n. 33/2020) che consente ai presidenti di regione di «introdurre misure derogatorie» rispetto a quelle del governo, purché più «restrittive». Ma c’è un altro elemento che rende ancora più palese la confusione.

Se i dati relativi alla situazione epidemiologica di una regione sono trasmessi dalla regione stessa a una Cabina di regia, che li elabora e ne desume un livello di rischio - da cui discende in “automatico” l’inserimento in una certa zona di criticità e l’applicazione di restrizioni sancite da Dpcm - come si spiega il fatto che, usando gli stessi dati, una regione possa giungere a una valutazione di maggiore criticità e, quindi, adottare misure ancora più restrittive?

Se i dati utilizzati da governo e regione sono gli stessi – “oggettivi” - cambia forse la metodologia di valutazione? 

Stessa valutazione, misure diverse

Il monitoraggio dei dati regionali e la loro valutazione da parte della Cabina di regia – in base a 21 indicatori e diagrammi di flusso - è stato disposto da un Dpcm del 26 aprile e declinato operativamente dal decreto del ministro della Salute del 30 aprile.

Nell’ottobre scorso queste fonti sono state integrate dal documento di Prevenzione e risposta a Covid-19, elaborato da Istituto superiore di sanità (Iss), Inail ecc., che tra le altre cose ha individuato quattro scenari di rischio e le relative misure di contrasto al virus.

Il Dpcm del 3 novembre e poi il decreto Ristori bis (d.l. n. 149/2020) hanno previsto che l’inclusione delle regioni nelle diverse “zone” – con ordinanza del ministro della Salute, sentite le regioni - sia basata sui dati elaborati dalla cabina di regia «in coerenza» con il documento Iss, che a sua volta richiama il decreto del ministro della Salute del 30 aprile.

Anche i presidenti di regione sono tenuti a utilizzare i «criteri stabiliti con decreto del ministro della Salute del 30 aprile 2020» per valutare i propri dati epidemiologici (d.l. n. 33/2020), quindi la metodologia è uguale a quella usata a livello centrale.

Eppure, paradossalmente, utilizzando gli stessi dati e la medesima metodologia, i presidenti di regione possono giungere a valutazioni di maggiore gravità e, di conseguenza, adottare misure più stringenti di quelle sancite dal governo: il decreto-legge citato li autorizza a farlo. Ciò induce a dubitare non solo della coerenza del sistema implementato, ma anche della pretesa “oggettività” sia dei dati sia del metodo di valutazione degli stessi.

Anche laddove la valutazione della situazione da parte dei presidenti di regione fosse uguale a quella della cabina di regia, essi potrebbero comunque adottare misure più restrittive. È lo stesso documento Iss a chiarirlo, nel capitolo intitolato “Approccio alla ri-modulazione delle misure di contenimento/mitigazione a livello regionale/PA”: «Le misure declinate negli scenari hanno la funzione di supportare ed orientare il processo decisionale delle singole regioni», ma «non sono da intendersi vincolanti».

Ciò significa che, mentre il presidente del Consiglio ha voluto conformare le misure restrittive sancite nei Dpcm alle indicazioni contenute nel rapporto Iss, le regioni possono decidere di discostarsene.

Dunque gli stessi dati, la stessa metodologia di valutazione e magari pure la stessa valutazione finale, ma risultati diversi - in termini di misure adottate - tra governo e regione interessata.

Incoerenza normativa e credibilità della politica

I presidenti di regione dovrebbero almeno ben motivare la ragione “scientifica” per cui adottano misure più severe di quelle del governo. Eppure l’eventuale mancanza resta priva di conseguenze, a meno che qualcuno non impugni un’ordinanza, come accaduto per quella di el presidente della Puglia Michele Emiliano, ritenuta dal Tar di Bari carente di presupposti sostanziali.

Il governo dovrebbe spiegare il motivo per cui consente alle regioni di imporre maggiori restrizioni a parità di dati e metodologia: così vanifica l’automatica proporzionalità delle misure rispetto alla gravità della situazione, che con l’ultimo Dpcm pretendeva di aver assicurato.

Dunque, per riepilogare: le misure di contrasto al virus sono stabilite nell’ultimo Dpcm, in conformità a quelle proposte dall’Iss, e scattano con l’inserimento delle regioni nell’una o nell’altra fascia di rischio, che è disposto dal ministro della Salute con ordinanza, in base a metodologia e indicatori elaborati da esperti, sentita la regione interessata, la quale però ai sensi di un decreto-legge può adottare misure più restrittive, secondo una valutazione fatta usando stessi dati e metodologia.

Questo sistema delirante è l’impianto normativo e operativo con cui l’Italia sta affrontando la sfida al Covid-19. Non serve aggiungere altro, se non una domanda: con un sistema del genere si riesce forse a capire di chi è la responsabilità se qualcosa va male? Forse la chiave per spiegare il sistema è proprio questa.

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