È talmente assurdo, irrazionale, irrealizzabile quello che dai media nostrani viene definito il piano di annessione del Nord della Striscia di Gaza approvato all’unanimità dal gabinetto israeliano da far pensare immediatamente ai deliri trumpiani sul Canada come cinquantunesimo Stato, oppure all’annessione «in un modo o nell’altro» della Groenlandia, oppure ancora a quella del Golfo del Messico.

Il modello ispiratore sembra, però, la dichiarazione di annessione degli oblast ucraini da parte di Vladimir Putin, che ha sortito zero effetti, semplicemente perché Putin può dire quello che vuole, ma i dirimpettai non paiono molto d’accordo. Risultato: si è lì a combattere esattamente come prima.

È vero che, anche se molto compromesso dal ventennio e passa di Bibi, il sistema istituzionale di una democrazia matura come quella israeliana non è lo stesso della democratura accentratrice russa e Tzahal ha certamente un’autonomia rispetto agli apparati governativi che non credo sia omologabile al sistema putiniano (comunque da non tramutare in una caricatura ad uso e consumo occidentale), così come ampiamente dimostrato in questo anno e mezzo di conflitto in cui i vertici militari e dell’intelligence trattavano a Doha o al Cairo mentre Smotrich, Ben-Gvir e soci deliravano di annessioni di territori devastati dalle bombe, che, anzitutto, dovranno essere bonificati con operazioni che richiederanno anni.

È vero che l’Idf ha approvato il piano governativo, ma lo ha presentato in maniera molto diversa. Verrebbe da dire, per ciò che è in realtà: un tentativo di togliere dalle mani di Hamas la gestione della distribuzione degli aiuti umanitari. In un momento, tra l’altro, in cui le scorte mediche e alimentari che avevano visto un’impennata durante i due mesi del cessate il fuoco (vedere grafici disponibili ovunque), si stanno realmente esaurendo, dimostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, il fallimento della strategia governativa israeliana che tenta di piegare Hamas attraverso la sofferenza del suo popolo.

Oltre che atto spietato senza precedenti nella storia militare israeliana, un’assurdità nel momento in cui hai di fronte un nemico che chiama al martirio e usa la stessa arma come mezzo di acquisizione del consenso. Come si vede dalle rivolte gazawe di queste settimane, anch’essa strategia fallimentare. Ma seguiamo pure le dichiarazioni bibiste e di uno Smotrich che con questo governo si sta giocando la carriera politica e la reputazione fra i suoi amici delle colonie di cui è il burattino (vedere riviste, in ebraico, del sionismo religioso che lo tengono spalle al muro per i zero risultati ottenuti già dai tempi della riforma della giustizia).

Bene, Israele annette il Nord della Striscia «contro la volontà di oltre il 70 percento degli israeliani» come dichiarato dal Forum delle Famiglie degli ostaggi riportate da questo giornale. Chi ci va ad abitare? Se stiamo a quanto abbiamo visto in Cisgiordania negli ultimi vent’anni (anche questi dati disponibili a tutti), pochi o nessuno. È vero che in Cisgiordania è in atto una politica di annessione dal ’67 in avanti che ha visto un aumento esponenziale della popolazione ebraica negli insediamenti attaccati alla green line, ma questo aumento si è arrestato nel momento in cui si sono costruiti insediamenti in profondità, lontani dai territori ebraici.

Prova inconfutabile: la bilancia demografica inchiodata sull’85 per cento di popolazione palestinese e 15 per cento di popolazione ebraica. Cosa che ha portato l’analista Shaul Arieli a invitare il governo a prendere atto che il progetto di occupazione, tra l’altro assai costoso per il contribuente israeliano, è fallito. Del resto, chi, a parte qualche fanatico messianico, andrebbe con piacere a vivere in un territorio ostile, in cui i tuoi figli sono costretti ad andare a scuola in strade separate da reti metalliche presidiate dall’esercito per i frequenti ed ovvi attacchi subiti dalla popolazione palestinese che sono andati a sfrattare?

Dunque, dice Arieli, ci si sieda al tavolo con matita e righello e si discuta seriamente. Insomma, il significato del voto di lunedì, così come altri di questo tragico anno e mezzo, ha un solo significato: propaganda.

P.S.: questo articolo è per chi ha voglia di comprendere la situazione sul campo dati e cifre alla mano. Per tutti gli altri c’è Facebook, a cui i nostri giornali assomigliano sempre più, avendo definitivamente introiettato i principi giornalistici del film Sbatti il mostro in prima pagina magistralmente interpretato da Gian Maria Volontè.

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