Facebook, secondo le regole della Borsa americana, rendiconta il proprio business nel modello standard 10-K fissato dalla Sec, la Consob USA. Ci sono i dati di bilancio (70,6 miliardi nel 2019 col 26,2 per cento di guadagno netto) e una marea di analisi a beneficio degli investitori.

In mezzo alle tante note interessanti c’è quella (pag. 27 del documento) che spiega ormai da anni come e perché Facebook non sappia quanti siano gli utenti “veri” (persone fisiche o giuridiche) rispetto al mare dei farlocchi. L’ultima cosa che t’aspetteresti da un’impresa che accumula quattrini vendendo dati e target profilati.

Una contraddizione che nasce dal cuore del modello del clickbait, che vuole il traffico pompato in ogni modo per far crescere i ricavi. Da qui la connivenza, altro che l’impaccio, di Facebook rispetto agli account anonimi, che al traffico contribuiscono in grandissima misura. In quelle ombre si cela ovviamente un po’ di tutto, non solo le armate di Putin e di Salvini. Ci sono mondi interi di popolo plaudente che a restare anonimo ci tiene.

Una sorta di Pasquino collettivo, un fenomeno sociale e culturale da trattare con le molle. Che di certo stravolge il senso stesso della libertà di espressione, che non è unilaterale. Perché comprende anche la possibilità degli interlocutori di sapere con chi parlano. Il free speech, in altri termini, è caricatura o truffa quando è la voce di una maschera. E, principalmente, è proprio finanziando armate di account di comodo che anche in internet, e nei social soprattutto, si impone l’egemonia dei soldi alla faccia dell’uno uguale uno, e orizzontale. La nota vicenda di Cambridge Analytica lo mostra esattamente.

Dal punto di vista della libertà d’espressione il sistema social è dunque un legno storto, un lasciar fare al comodo dei forti, e tale resterà finché non sarà data una risposta al tema di fondo: cos’è un social? Un club di account legato a un suo statuto? Un’orda di killer mascherati? Oppure un editore che vaglia ciò che pubblica e ne risponde se del caso in tribunale?

Il modello di business attuale spinge all’orda e un punto fermo in queste condizioni è impossibile fissarlo. Per questo Zuckerberg da qualche anno s’è fatto censore in capo, per spegnere qualche fiamma, mentre soffia sulle braci che gli portano i ricavi. Ma il problema non sarà mai risolto, è chiaro, se non tagliando il gioco dell’anonimo e del finto che rende tutto incerto e arbitrario.

Perché solo in questo caso tutti i social-cittadini sono alla pari, e ognuno può badare a quel che dice come alla guida dell’auto in mezzo al traffico. In caso diverso, l’alternativa fatale è già presente: Facebook (o meglio Fakebook con la c voltata in k) che rastrella video e post con l’algoritmo, bannando chi s’allontana dalla media del famoso senso comune, del pudore e d’altre cose. Arbitrio e bigottismo, a dirla breve, alla faccia delle sorti magnifiche, social e progressive.

© Riproduzione riservata