Martedì a Parigi il terrorismo islamista ha ricevuto un colpo mortale. La Francia lo ha trafitto trattando gli accusati del massacro di Charlie Hebdo e degli altri omicidi di cinque anni fa con lo scrupolo giuridico di uno stato di diritto.

Dopo 54 giorni di udienza, i giudici hanno condannato gli accusati di complicità, distinguendo le posizioni, graduando le pene, tenendo conto della diversità delle prove e delle responsabilità: con l’imputazione per alcuni di terrorismo, per altri di associazione di malfattori. Con pene da 5 anni all’ergastolo. E nessuno, come usa in questo continente di cui ci si lamenta con molte ragioni e pochi costi, è stato condannato a morte o giustiziato.

Una lezione democratica

È stata data una lezione micidiale al terrorismo. L’obiettivo di chi vi si dedica – eccitandosi in una propria egolatria religiosa o ideologica – è infatti quello di assimilare alla sua brutalità il proprio nemico. E se il nemico è uno stato fare in modo che “getti la maschera” e si esibisca in una belluina sete di vendetta.

Qualche volta lo il terrorismo ci è arrivato vicino: da noi c’è ancora un frammento di tg del 1978 dove un fine intellettuale come Ugo La Malfa dichiara che essendo stata via Fani una azione di guerra, bisogna dichiarare lo stato di guerra.

Non se ne fece nulla e La Malfa non lo ridisse mai: ma era proprio quello lo scopo di una ferocia che – allora non era la religione ma la filosofia marxista-leninista ad essere semplificata in semplicismi sanguinari – puntava a distorcere i sistemi di garanzia democratici.

Dall’11 settembre in qua le diverse congreghe del terrorismo islamista ci hanno provato con esiti diversi: in qualche caso ottenendo una risposta militare che non ha certo sradicato il bacino di reclutamento delle sue cellule; in qualche caso ottenendo una disciplinata adesione di masse di cittadini pacifici a procedure costose di vigilanza che ormai sono rito in aeroporto.

La “pena esemplare”

Ma non c’è stata limitazione dei diritti: e anche la legislazione macroniana contro le moschee militarizzate non va vista come una limitazione della libertà di culto, ma una protezione dell’islam stesso – di cui la giustizia amministrativa vaglierà la misura – da una infiltrazione che vuole creare quella spirale di paura e risentimento che trasforma un credente privo di strumenti teologici e spirituali (tutt’altro che “radicale”) in un assassino disposto al suicidio come forma di sacrificio umano che ripugna al Dio di Abramo.

La sentenza del tribunale di Parigi è dunque a suo modo una “pena esemplare”: perché crea uno iato fra due campi culturali. Da un lato il delitto che cerca il suo pretesto propagandistico, identifica qualunquisticamente il suo antagonista, lo affronta con la vigliaccheria di chi attacca un inerme, lo uccide e poi bestemmia Dio a favore di telecamere. Dall’altro la giustizia dei tribunali dello stato di diritto: che informa l’accusato, garantisce la difesa, porta nel processo le prove, distingue e condanna senza aver paura di rinchiudere nessuno in cella “troppo poco”.

E che alla fine non attribuisce all’assalto all’Hypercacher l’aggravante di attentato antisemita (del tutto vistoso e visibile) perché la legge che lo introduce come aggravante è solo del 2017 e non poteva essere applicata per chi era già imputato nel processo. Una prudenza che potrebbe sembrare esagerata, e che invece è saggia.

È così che si vince il terrorismo, sia quello islamista sia tutti gli altri: rendendo palpabile a tutti la differenza fra chi si ispira a principi di dignità della persona umana e chi invece considera la società plurale in cui trova posto, educazione, garanzie, un nemico contro cui condurre la propria guerra personale o in franchising.

Finché questa differenza resta netta ci potrà essere e ci sarà un terrorismo e di sicuro un terrorismo islamista: ma ogni azione lo renderà sempre più distante da quelle folle di credenti musulmani che vedono applicato il principio di Montesquieu (è il governo che è vitale sia moderato, non i cittadini) e pensano che nella società pluralista ci sia posto per la loro fede e per quella di tutti.

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