Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte chiude il suo primo intervento alla Camera con una richiesta che di rado si era sentita da quelle parti: “Aiutateci”. Il premier sa di essere debole, perché oggi al Senato non si aspetta la maggioranza assoluta. Ma riesce a trasformare la sua debolezza nella forza della rassegnazione.

Sa infatti di essere anche inevitabile, ha chiaro che al momento non ci sono alternative praticabili, il Pd non ha nessuno da mandare a palazzo Chigi, i Cinque stelle non hanno ragione di accettare un ricambio a parità di coalizione. Le elezioni in Italia sono considerate una calamità tempi normali, figuriamoci in questi. Conte ha ben chiaro che nessuno fuori dal palazzo capisce questa crisi, infatti si rivolge più spesso alla gente “a casa” che ai parlamentari.

Eppure, nonostante la pandemia e nonostante la crisi che incombe, il programma politico di Conte e del suo governo resta uno solo: evitare che al governo vada la destra sovranista di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Perché, tra l’altro, comprometterebbe l’armonia con Bruxelles e sarebbe un ostacolo al dialogo con il nuovo presidente americano Joe Biden, con il quale Conte vanta già una particolare sintonia (analoga a quella vantata fino a pochi mesi fa con Donald Trump, che ora il premier evita accuratamente di nominare).

Quando è arrivato a palazzo Chigi nel 2018, Conte era il garante di un contratto tra visioni politiche contrapposte, un populismo di destra e uno di sinistra, così inconciliabili da dover stilare una lista precisa di provvedimenti sulla cui base governare. Oggi il Conte 2 è soltanto il governo del possibile, degli uomini e donne di buona volontà, che in assenza di idee attingono alle liste fornite dalle associazioni di categoria e lobby: Conte ha citato tutto, dall’agricoltura ai bonus edilizi a Procida capitale della cultura.

Non può esistere un’opposizione di merito alla linea di Conte, perché contiene tutto e il suo contrario, almeno finché il debito pubblico a buon mercato permette di rinviare le scelte. E infatti perfino le critiche di Matteo Renzi e Italia viva sono soltanto di metodo.

Abbiamo già visto queste dinamiche nell’ultimo decennio, quando la politica scolora in semplice tecnica di gestione e non lascia spazio al conflitto delle idee e degli interessi legittimi, l’unica opposizione possibile diventa quella al sistema. Nel dibattito di ieri l’unica vera contrapposizione a Conte è stata quella di Giorgia Meloni, interprete di un sovranismo di destra ancora più radicale del populismo leghista di Salvini. 

 L’avvocato del popolo è mutato nella sua nemesi, una specie di tecnico che rivendica la propria estraneità alle logiche della politica e chiede solo di poter amministrare al meglio. Oggi ha il consenso popolare, molti suoi omologhi hanno però già sperimentato quanto può rivelarsi effimero. Se Conte promette soltanto buon governo e argine alle destre, su questo verrà misurato. Anche se in caso di fallimento i danni li pagheremo tutti noi.

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