Primavera, piccola città del nord, supermercato. Una donna elegante cammina per il reparto biscotti e dolciumi, dietro di lei la figlia, una ragazzina delle medie, si somigliano molto. La madre procede spedita con il carrello, la figlia si sofferma a guardare tutti quei dolci, è rapita dal profumo, dalle confezioni colorate, dall’atmosfera di anarchia alimentare che il reparto trasmette.

«Mamma, possiamo comprare queste?» La madre si volta, osserva la confezione di merendine che la figlia regge come un trofeo. Resta impassibile. «No». Riprende a camminare. «E queste?» La madre si volta di nuovo. «No». «Allora queste?». «No». «Ma non…». La madre sbotta, irritata: «Non lo sai che siamo a dieta?».

Alcune persone si girano, lei accelera, arriva in fondo al corridoio, scompare, la figlia la segue. Le ritrovo più tardi alla cassa. La madre svuota il carrello, gesti efficienti, veloci, la figlia l’aiuta in silenzio, poi si distrae. Vicino alla cassa ci sono dei tulipani dall’aspetto vellutato.

Il tulipano è il fiore dell’euforia irrazionale, è sensuale, pieno di promesse, generò una famosa bolla di mercato, addirittura. Certo, però, non si mangia. «Mamma. Possiamo almeno prendere questi?». La madre osserva la figlia, i fiori, alza un sopracciglio. «Va be’. Quelli sì».

L’episodio che ho appena raccontato gira nel mio cuore da giorni, e vorrei capire il perché. Ne ho parlato con persone diverse, le reazioni sono state diverse. Per me c’è qualcosa di profondo che riguarda il genitore come figura misteriosa e mostruosa. È un episodio fiabesco, il reparto dei dolci come la casetta di marzapane, i tulipani nel finale che sembrano oggetti magici.

La violenza del divieto

In realtà non sappiamo tutto di questa storia. Non possiamo criticare con certezza, magari la madre aveva le sue ragioni. Eppure, anche nell’ipotesi in cui esistessero motivi serissimi, di vita o di morte, per impedire alla ragazzina di mangiare le merendine, concluderemmo che c’è qualcosa di violento nell’imporre un divieto con un tono così dispotico. Anzi, più le ragioni sono serie, più il divieto dovrebbe essere presentato con dolcezza.

Poi c’è il caso in cui l’episodio non derivi da questioni di vita o di morte. È il caso più probabile. La madre vuole insegnare delle regole di buona salute, non mi interessa se giuste o sbagliate, non entro nel merito. Oppure vuole tenere sotto controllo l’aspetto esteriore della figlia, è inutile negare che alcuni genitori non sopportano l’idea che i figli abbiano un fisico distante da un loro ideale estetico: è terribile, ma frequentissimo.

Di sicuro la madre vuole impostare una dieta, l’ha detto. «Non lo sai che siamo a dieta?» Anche il verbo al plurale mi ha colpito. «Siamo a dieta». A volte i genitori usano questo plurale autoritario. Oppure la madre è a dieta, per sé stessa o per dare il buon esempio. Resta il fatto che un’adulta può scegliere cosa fare del proprio corpo, tanto per cominciare ha il denaro per comprarsi le merendine. Una ragazzina, una bambina, no. La dieta piomba su di lei come un incantesimo.

Il tempo del bullismo

L’altro giorno ho letto l’articolo di Simona Sinesi che spiegava come i disturbi alimentari siano molto spesso la conseguenza di atti di bullismo. Il bullismo fa pensare ai compagni di scuola che ti rendono la vita impossibile, con le parole e con i gesti. Il bullismo è umiliazione che si fa via via articolata, e che soprattutto è ripetuta nel tempo.

Il tempo è il segreto di molte cose terrificanti: trasforma la paura in rancore, i fremiti in ossessioni, l’umiliazione in bullismo. Anche le diete si svolgono nel tempo, una dieta è un periodo della vita, lo sconto di una pena, una prigione di numeri: il peso, i giorni.

La madre di questa fiaba, con i suoi no ripetuti e la sua freddezza, con l’incapacità di accogliere le eventuali difficoltà della figlia, di mediare, di costruire insomma un mondo allegro comunque sia, non mette in atto un bullismo esplicito, greve, da scuola media. Mette in atto una mortificazione sottile. Ma magari sbaglio.

Magari, di nuovo, mi manca il dettaglio che svela il senso della fiaba e le ragioni della madre. Quand’è che noi genitori, nella nostra ossessione educativa, diventiamo mostruosi? Cosa ci separa dall’abisso? Mi sono chiesta quale sarà, un giorno, il rapporto della ragazzina con il cibo, con la vita in generale. Soprattutto con i tulipani.

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