La tecnica senza visione umana ha prodotto Hiroshima. L’Europa e l’Occidente sono un corpo e un’anima di precipizi bui e riscatti luminosi. Indigna che la premier inveisca contro Ventotene, ma non scopriamo ora che l’internazionale oscurantista ha come bottino la riscrittura della storia per svuotare la democrazia.

La potenza tecnologica è nelle mani di un manipolo di capitalisti a braccetto con un presidente che rovescia le regole. Diventa tutto più facile per Erdogan, Netanyahu o la destra di casa nostra. Il nostro continente è uno spazio morale, sociale, da mobilitare per un federalismo che unisca i volonterosi dei diritti e di un welfare di giustizia sociale e pace. Sarebbe buona cosa se gli europei fossero chiamati a decidere sulla questione di fondo: nazionalismo populista o Stati e popoli da unire in democrazia.

A lungo l’Europa è sembrata la bella addormentata. Ha distolto lo sguardo da diseguaglianze indecenti, da decine di guerre combattute prima dell’aggressione all’Ucraina. Nel suo sonno dissolveva la sua autorevolezza diplomatica e la pietà per chi dal Mediterraneo invocava aiuto. Troppo sovente la doppia morale ha offuscato il valore di vita e legalità. Eppure, la bella addormentata si era scossa per darci vaccini e risorse. Poi è mancata la volontà di classi dirigenti capaci di voltare pagina e di prendere su di sé, come scrive Prodi, il dovere della speranza. Un filo nero accomuna ogni sorta di fondamentalismo: la bestemmia dell’uso di “dio”, il sessismo, il suprematismo. L’unico Dio che resta orfano è quello della misericordia. Si riedificano i capri espiatori, la libertà di donne, migranti, poveri, comunità lgbtq+, istituzioni sovranazionali.

«Le emozioni esistono» ha scritto Serra. Altroché se esistono. E purtroppo talvolta i manipolatori lo capiscono prima che i buoni offrano la risposta giusta a bisogni e sentimenti. Anche per questo la reazione di von der Leyen con una immediata chiamata al riarmo a me è risultata uno stridore, mentre c’è urgenza per l’Europa di mostrare l’attualità dei suoi principi.

Rifletto sulla lettera di papa Francesco: «Le parole possono collegare o dividere, servire la verità o servirsene. Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e la Terra». Il maquillage al titolo, Readiness, non basterà a cucire lo strappo. Ho condiviso l’orgoglio di Elly Schlein sulla rivendicazione di un’Europa più autonoma anche nel disegnare una difesa comune, ma è qualcosa di diverso dal sostegno a un riarmo che ogni governo gestisce per sé, magari comprando innovazioni e missili da chi imporrà dazi e ricatti. E diverso dalla scelta della Germania che, approvando una modifica costituzionale sui limiti al debito, pensa di trasformare interi comparti industriali in un’economia di guerra.

Dire “riarmo subito” rinviando al dopo per quale politica estera lascia un’inquietudine: la memoria insegna quanto il nazionalismo sia carburante di conflitti sanguinosi. Ripenso all’insistenza della segretaria Pd sull’unità di democratici e progressisti. Unità è un programma e un valore perché contiene una premessa: decidere dove collocare l’asticella dei traguardi e dei compromessi. Nelle scelte risiedono l’etica delle convinzioni e la responsabilità comune, il pragmatismo o l’utopia desiderata. L’aiuto viene dalla fiducia che nell’altra, nell’altro, puoi scoprire un’aspirazione comune. Benigni ha titolato “Sogno” il suo racconto e lo ha concluso con una dedica ai giovani. Nel mio sogno la piazza che vorrei vedere sarà la loro, un girotondo globale di ragazze e ragazzi, di ribellioni e speranze. Una conversione verso l’idealità è oggi il solo realismo possibile.

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