Doveva essere la soluzione, è diventata il problema. Ita (Italia Trasporto Aereo), la nuova società (newco) che nelle intenzioni della ex ministra dei Trasporti, Paola De Micheli (Pd) avrebbe dovuto segnare la discontinuità con il passato disastroso Alitalia e diventare il fulcro della ripartenza, dopo 4 mesi di vita si dimostra per quel che è: un ostacolo.

Tra tutte le strade percorribili per tentare di ridare un futuro alla compagnia di Fiumicino, compresa quella semplice di costituire una newco all'interno del perimetro dell'attuale gestione commissariale come fu fatto qualche anno fa con Blue Panorama, il governo uscente ha imboccato il percorso più insidioso.

Gli effetti dell'errore sono evidenti, a cominciare dal più clamoroso: affiancando Ita ad Alitalia ancora sotto la gestione commissariale (commissario Giuseppe Leogrande), lo Stato si è messo due separati in casa.

Le due entità sono società private e distanti anche se possedute dallo stesso padrone (il ministero dell'Economia e della finanze), ognuna è per sua natura costretta a procedere per conto proprio. Ognuna persegue per legge finalità conflittuali con l'altra.

Ita vorrebbe ricevere da Alitalia ciò che le interessa (52 aerei, 5.200 dipendenti, gli slot, cioè i diritti di decollo e atterraggio) alle condizioni migliori dal suo punto di vista, cioè pagando il meno possibile. Oltretutto senza fretta perché nonostante i proclami roboanti Ita non è in grado di decollare questa primavera e per di più non ha alcun interesse a farlo.

Il nodo del Coa

Prima di tutto perché con il Covid ancora non debellato la nuova compagnia si esporrebbe a un bagno di sangue di nuove perdite. E poi perché, anche a prescindere dalla convenienza, Ita non ha le carte in regola per mettere in pista anche un solo aereo.

Non ha il Coa (Certificato di operatore aereo) né le licenze di volo che non può ereditare dall'Alitalia. Per ottenerle ha avanzato da qualche giorno la richiesta all'Enac (l'Ente dell'aviazione civile diretto da Alessio Quaranta), ma l'Enac non è uno sportello pronta cassa, le procedure da seguire sono obbligatoriamente lunghe. Tredici anni fa, ai tempi dei Capitani coraggiosi voluti da Silvio Berlusconi, si presentò uno scenario analogo e ci vollero 5 mesi alla nuova Alitalia berlusconizzata per avere il Coa.

Ita è molto meno di ciò che era Alitalia allora, è una scatola vuota solo potenzialmente ricca dei 3 miliardi di euro che il governo precedente aveva deciso di affidarle in più tranche. Soldi che paradossalmente, come nel supplizio di Tantalo, non può usare proprio perché non ha i requisiti.

Per ottenere Coa e licenze Ita deve essere riempita di qualche cosa che abbia un senso da un punto di vista aeronautico, almeno un paio di aerei tra i più rappresentativi della ipotizzata flotta futura (Boeing e Airbus presumibilmente), i relativi equipaggi, gli uffici amministrativi e tutto il contorno. In forza di questa struttura minima può ottenere i permessi aeronautici necessari.

Casse vuote

Bene che vada la nuova Ita potrà avere le licenze in estate ed escluso decida di partire in autunno-inverno che sono stagioni basse per i viaggi aerei, sarà in grado di decollare a primavera 2022. E anche i tempi dilatati confliggono con gli interessi di Alitalia in amministrazione straordinaria che invece i tempi li vorrebbe bruciare.

Per un motivo sopra ogni altro: in cassa non ha più un euro neanche per pagare gli stipendi. Il commissario Leogrande continua a mandare appelli al governo, chiede disperatamente che vengano sbloccati i 77 milioni di euro promessi come ristoro per i danni del Covid. Ma neanche questi soldi sono sufficienti per far passare la nottata e far arrivare indenne Alitalia all'eventuale appuntamento con Ita. Ci vorrebbe almeno un altro mezzo miliardo di euro pubblici, ma ammesso ci sia la volontà politica di farli saltare fuori, nessuno poi saprebbe come giustificarli agli occhi dell'Unione europea.

Alitalia in amministrazione straordinaria vorrebbe vendere subito e alle migliori condizioni perché il suo compito è quello di massimizzare le entrate per soddisfare i molti creditori, a cominciare dallo Stato a cui deve restituire 1 miliardo e 300 milioni di euro, fino alle banche (Unicredit e Banca Intesa in testa) e le centinaia di fornitori.

L'Unione europea ha però fatto sapere con una lettera perentoria che nessuna vendita può essere effettuata senza una gara internazionale. Ma anche in questo caso per organizzare la gara e concluderla ci vorrebbero mesi e nel frattempo la compagnia rischia di dovere interrompere i voli. Grazie a Ita l'affare Alitalia è diventato come il cane che si morde la coda.

La mossa del cavallo

Per uscire in fretta dall'impasse c'è chi ipotizza una specie di mossa del cavallo: al posto dell'inservibile Ita, utilizzare una società interna alla vecchia Alitalia, la minuscola Cityliner che fa collegamenti regionali con piccoli aerei. L'operazione sarebbe questa: per non perdere la continuità operativa nei voli, i beni di Alitalia in amministrazione straordinaria (aerei, slot etc...) sarebbero trasferiti a Cityliner che è già in possesso delle licenze e del Coa che andrebbe a quel punto implementato per gli aerei di medio e lungo raggio. Cityliner sarebbe poi ceduta al ministero dell'Economia a rimborso del prestito e infine magari fusa con Ita.

A quel punto lo Stato potrebbe erogare un nuovo prestito ponte alla nuova azienda conforme alla normativa dell'Unione europea. Stefano Fassina, deputato di Liberi e uguali (Leu) ha trasformato questo percorso in un emendamento al decreto Milleproroghe.

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