Emmanuel Macron ha vinto e l’Europa festeggia, insieme alla sua rielezione, la difesa di uno status quo che l’ondata anti europeista, anti sistema, anti politica ha ancora una volta minacciato di travolgere. Ma stappare lo champagne per avere “mantenuto” qualcosa, anziché averlo conquistato, è già di per sé un paradosso.

Se lo spirito con cui celebriamo il risultato francese è il sollievo di aver conservato le nostre comode posizioni, allora dovremo continuare a trattenere il fiato a ogni tornata elettorale: dalla Slovenia alla Svezia, dall’Italia, fino alle Europee del 2024, gli epigoni di Marine Le Pen avranno ogni volta chance sempre maggiori. Il maggior pericolo per la democrazia è l’adagiarsi su risultati acquisiti.

La democrazia prospera quando è scomoda: quando è costretta a riconoscere l’esistenza di identità differenti e, per quanto ostiche, a instaurare con esse un percorso di ricerca della convivenza. Politici come Le Pen assolvono egregiamente alla funzione di un fastidioso pensiero incastrato nel nostro dogmatismo, ma, una volta rimosso, l’istanza di rinnovamento diventa sempre più urgente.

Pesano decenni di auspicate riforme europee rimaste incomplete persino di fronte alle emergenze: migranti, politiche fiscali, difesa comune… Per gli anti europeisti è facile semplificare la soluzione a questi problemi rigettandoli insieme all’Unione, ma se chi vince non segna realmente una differenza dai suoi antagonisti prendendosene carico, il salotto buono dell’Europa rischia un brusco cambio di arredamento.

Eppure non è mancato il tempo per ristrutturare tenendo conto di un’identità europea: Macron ha già governato per 5 anni, Merkel per 15, Draghi incarna l’economia della Ue dal 2011. Perché nonostante la longevità di questi leader il processo europeista non ha avuto un’evoluzione?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo chiederci cosa significhi leadership nella democrazia contemporanea, ricordandoci che la parola non identifica un carattere: non si è un leader, piuttosto si “esercita una leadership” nel contesto della missione che si è chiamati ad assolvere.

È ciò che si definisce “leadership adattiva” ed è tanto più efficace se interviene non imponendo un cambiamento dall’alto, ma agendo sulla creazione di una costruzione identitaria di principi, credenze, valori e abitudini che sono alla base del cambiamento stesso. Emettere una legge per punire l’evasione fiscale è facile, più complicato convincere la gente a pagare le tasse, dando loro la consapevolezza che è necessario.

Già il rapporto tra politica e cambiamento climatico ha dimostrato quanto sia necessario istillare la coscienza del problema, prima di emanare leggi che incidono pesantemente sulla vita dei propri elettori. Fare scelte impopolari è prerogativa delle leadership efficienti, ma non dobbiamo mai dimenticare che a scegliere i leader siamo noi ed è facile cadere nella tentazione di demandare il lavoro a figure che, nella pace delle nostre coscienze, ci illudiamo possano risolvere tutti i problemi per noi.

Nessun leader democratico può tuttavia diventare il messia di una nuova Europa, se noi non riconosciamo per prima cosa la sacralità stessa dell’istituzione europea. Cambiare leggi, procedure, rappresentanze sarebbe solo aggiungere altre sovrastrutture a una base fragile. Se grazie alla vittoria di Macron la leadership europea oggi si sente più solida, allora è il momento per confrontarci con quelle identità nazionali, diventate bandiere dell’anti politica, mettendole in relazione con i valori che ci permettono di definirci anche europei, oltre che italiani, francesi e tedeschi.

Le radici e le motivazioni condivise che hanno creato il nucleo dell’Unione nel dopoguerra devono tornare ad essere parte del patrimonio dei suoi cittadini. Questa volta l’analisi delle preferenze date a Macron ci invita a essere ottimisti. Il voto in Francia va forse al di là della volontà di arginare l’ondata populista. Parte di quel 58 per cento che ha rieletto il presidente, pur non condividendone il progetto, sembra aver intuito che la rinascita di una spiritualità Europea è un problema così complesso che non può essere risolto solo con soluzioni tecniche e semplificatrici.

La domanda ora è se la classe dirigente europea sarà in grado di raccogliere questa sfida e, dopo il sospiro di sollievo, riuscirà a interpretare in maniera adattiva la sfida di leadership che le è stata riconfermata.

 

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