Nello sforzo di rilanciare almeno l’immagine della politica economica del governo, il presidente del Consiglio Conte ha preannunciato persino qualche revisione al reddito di cittadinanza. È importante che, se manterrà la promessa, si muova nella direzione giusta.

Il reddito ha due parti collegate: un sussidio di povertà e un servizio di formazione collocamento per chi non ha lavoro. Le critiche si rivolgono soprattutto alla seconda parte e all’inconcludente pasticcio dei navigator. Ma rischiano di coinvolgere l’intero provvedimento senza distinguere bene le sue due parti.

Si arriva a presentare il percettore tipico come un imbroglione che approfitta del malfunzionamento dell’insieme per percepire il sussidio senza cercar davvero di lavorare o solo per lavorare in nero. Secondo alcuni, per fronteggiare la disoccupazione l’essenziale è far circolare le informazioni di mercato su chi cerca lavoro e sulle imprese che lo offrono, per canalizzare i primi verso le seconde.

“Mettere in rete” le informazioni è importante, ma non basta. Siamo in un periodo di carenza netta aggregata di domanda di lavoro, dovuta anche alla crisi pandemica. In secondo luogo, riqualificare chi cerca lavoro per adeguarlo ai lavori disponibili, aiutando spesso anche la sua famiglia a spostarsi, richiede grandi risorse e tempi lunghi. Infine, ci sono tante persone in situazioni sociali e personali che esasperano la loro difficoltà di offrirsi sul mercato del lavoro fino a renderla insuperabile: la società può decidere di lasciarli “sotto i ponti” o offrir loro un sostegno per il semplice fatto che sono concittadini. Nel primo caso è bene dirlo chiaramente, non nascondendosi dietro critiche al reddito di cittadinanza.

I problemi della povertà e della disoccupazione, per quanto connessi, hanno spiccata individualità ed è meglio affrontarli separatamente, con strumenti, obiettivi e budget specifici.

Le critiche al reddito dovrebbero riprendere la forma che avevano quando fu introdotto: bene ampliare il sostegno alla povertà, male accantonare le “politiche attive del lavoro” avviate fin dal governo Renzi, che si dovevano invece tener separate dotandole di quelle risorse e attenzioni che lo stesso Renzi a un certo punto venne lesinando.

Conte vuole davvero ritoccare il reddito di cittadinanza? Allora valorizzi separatamente le sue due componenti. Rivendichi esplicitamente il valore politico e civile dell’aiuto alla povertà, pur correggendo alcuni difetti del modo con cui il sussidio viene oggi erogato (compreso il suo impatto sulla diffusione del lavoro nero).

Trovi poi gradualmente ma sul serio le risorse finanziarie, professionali e amministrative per fare politiche attive del lavoro con istituzioni e provvedimenti separati e adeguati. Anche nel dibattito pubblico sul reddito di cittadinanza, il grano va tenuto ben distinto dal loglio, altrimenti rischiamo di buttare anche il primo o tenerci il pasticcio attuale.

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