Molti fra quanti chiedono a Mario Draghi di restare alla presidenza del Consiglio gli han tramato contro. E quando si eleggeva il presidente della Repubblica, non potendo “neanche immaginare” che altri potessero succedergli al governo, l’hanno inchiodato dove potevano continuare a infilzarlo, novello san Sebastiano.

Conosciamo antefatti e possibili esiti della seduta d’oggi al Senato. Erra chi riconduce tutto alla psicologia delle persone, ma molto erra anche chi ne prescinde. Pure i banchieri (ma Draghi è un “grande commesso” pubblico, non un banchiere) hanno un cuore, e una testa.

Il sostegno che gli urlano, lo sa bene, non va preso al nominale; è in parte esibito, in parte interessato, in parte ancora infondato, poco oro, tanto princisbecco. E nessuno ha la bacchetta magica per risollevare un paese attratto dall’abisso.

Il direttore di Domani Stefano Feltri l’ha qui invitato a chiedere, nell’aula più avversa, un mandato limitato, scandendo le poche cose che ritiene necessarie, su cui avrebbe senso impegnare l’Italia e sé stesso. Su tale mandato, la legislatura potrebbe continuare con limiti ben definiti, da non varcare.

Non vi potrà più figurare il tema fiscale, pur da lui ritenuto essenziale nel discorso d’insediamento (febbraio 2021), perché il parlamento ha rinunciato a una riforma organica; nessuno gli impedirà però di raccomandare al prossimo di affrontare tale enorme compito, da decenni trascurato.

La domanda è semplice: all’Italia conviene che Draghi prosegua, traghettandoci al 2023, o votare subito? Sappiamo tutto sul lavoro che resterebbe a metà, o addirittura finirebbe per morte anticipata della legislatura e la richiesta è pressoché corale, resti Draghi.

Chi lo porta in processione come la Madonna, chi ritiene il suo governo pessimo sì, ma meglio delle concrete alternative; lo stesso Movimento 5 stelle lo cuoce a fuoco lento ma non azzarda una scelta netta. A parte la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, convinta di vincere le elezioni, comunque prossime, l’Italia gli chiede di restare. Se il Senato gliene darà spazio, dovrebbe dunque continuare a fare da bersaglio a oppositori travestiti da sostenitori?

Una scelta chiara

Poche persone, al suo posto, si farebbero intortare da elevati richiami alla responsabilità, naturalmente altrui. Non subirebbe solo il ludibrio di chi, come il Movimento 5 stelle (pur da lui in ipotesi salvato dall’autodistruzione), gioirebbe d’averlo sconfitto all’Ok Corral, né solo gli altri attacchi di chi chiede, a un governo di quasi unità nazionale, di difendere i suoi orticelli di domestici evasori.

Sarà arduo per lui inghiottire l’amara pillola, ma penso che debba farlo e lo farà, se le sue parole lasceranno sufficiente spazio politico, e il parlamento le approverà. La scelta davanti a Draghi sarà chiara. Da un lato l’interesse del paese, dall’altro la sua tranquillità di vita. Si può pensare che anche se resta, la sua opera cambierà poco, ma sempre meglio dell’alternativa sarebbe.

Sceglierà quindi Draghi l’interesse del paese, a meno che l’insipienza di chi lo osteggia regali a lui la personale tranquillità, a noi la discesa verso il caos: pensiamo al Pnrr e allo spread. Per tacere di un probabile governo di destra, allineato alle democrazie illiberali, alla Orbán, in cui la difesa dell’Europa sarebbe affidata a Silvio Berlusconi!

Chissà come già brindano alla sua, e nostra, sconfitta, a Mosca e in altre capitali, amiche e punti di riferimento di alcuni nostri partiti “di governo”. Speriamo che Draghi gli mandi di traverso lo champagne.

© Riproduzione riservata