Dopo solo trent'anni dalla proclamazione della sua fine, la Storia è più viva che mai. La tragedia afghana spinge Ezio Mauro (Repubblica, 18 Agosto) a dire che non è vinta solo l'America, lo sono tutte le democrazie i cui valori, non solo a Kabul, sono stranieri; a noi paiono irrinunciabili ma non sono universali, ha qui scritto Gianni Cuperlo.

La campana suona anche per noi. Usi al fresco dell'ombrellone Usa, indulgenti anche per le sue nefandezze, chiediamoci se i tanti popoli Ue sono pronti a prendere in mano il proprio destino, come chiese Angela Merkel dopo l'elezione di Donald Trump. Ma esiste un destino comune Ue, sentito come tale?

È assordante l'afonia della sua politica estera, che si estende al tema della difesa comune; l'Alto Rappresentante per la politica estera della Ue è un fantasma, non per colpa del titolare.

I contrasti fra gli Stati membri Ue van risolti con decisioni comuni, in istituzioni create apposta. La sospensione della legge di gravità politica – quella per cui chi vince la guerra ha ragione – è conquista grande ma fragile sempre, e non contempla possibili aggressioni esterne.

Se un qualche nemico della Ue, per frantumarla, la prendesse di mira, con atti di terrore o altro, non faremmo nulla, o andremmo a scovarlo come gli Usa a Kabul, o cos'altro faremmo? Ma, ancor prima, chi è “noi”, solo il Paese colpito, o la Ue tutta? E quanto tempo servirebbe per formare la coalizione?

Chiederci se siamo pronti a lottare per la democrazia non significa accettare gli obbrobri, come l'invasione dell'Iraq nel 2003, folle zampata nel vespaio mediorientale le cui conseguenze ancora si ripercuotono, dall'Afghanistan più che mai in mano ai signori dell'oppio, alle migrazioni nella Ue.

Se il pericolo catastrofico per le democrazie, l'aggressione terroristica, pare remoto, il più concreto pare l'erosione del consenso per il metodo democratico, visti i superiori risultati concreti delle autocrazie. Queste non han bisogno del consenso del popolo, l'hanno per definizione; veloci nell'elaborare la politica e nell'eseguirla, mantengono le promesse, cosa impossibile in democrazia, dove un nuovo governo può sempre sconfessare il precedente. Esse non ci sfidano militarmente, ma sfruttano la nostra idiosincrasia, o meglio impreparazione mentale, alla guerra.

Come dicono i talebani, voi avete l'orologio, noi abbiamo il tempo. Se arrivano soldati morti, le nostre democrazie non resistono a lungo. È la loro forza, ma anche il loro tallone d'Achille. Quanti fra noi considerano la possibilità di trovarci, un giorno, coinvolti in un conflitto armato? Eppure il rischio esiste.

La contrapposizione non è più fra Marte e Venere, come dicevano Bush jr, Rumsfeld & Co., per cui gli Usa non avevano più rivali, solo alleati neghittosi, ma fra l'autocrazia e la democrazia liberale, quella dove ci sono opinioni pubbliche esigenti e informate, assenti nelle autocrazie o nelle finte democrazie. Potremmo un giorno dover fare scelte dure, per cui non siamo pronti. 

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