Un’Europa che con orgoglio torna in prima fila nella sfida del clima, nell’innovazione e nello sviluppo sostenibile, che si rifonda sulla questioni della giustizia ambientale e sociale, dei diritti e della solidarietà. È l’Europa che ha provato disegnare e che ci ha fatto sognare dal suo esordio la Commissione guidata dalla Presidente Von Der Leyen. Un progetto che poi si è sostanziato del Green Deal, di nuovi obiettivi climatici e del programma Next Generation Eu che mette a disposizione dei Paesi membri ingenti fondi per il rilancio post pandemia e prescrive di investirne il 37 per cento sulla conversione ecologica dell’economia. Ma che purtroppo si sta scontrando con molte resistenze e nei fatti si dimostra non all’altezza delle ambizioni suscitate e delle necessità.

Lo dimostrano bene i negoziati sulla riforma della Politica agricola comune (Pac) e la legge europea sul clima.

Buone intenzioni e cattivi accordi

La vecchia Pac, ha certificato una recente relazione della Corte dei conti europea, ha sprecato 100 miliardi di euro che avrebbero dovuto essere utilizzati per ridurre l’impatto ambientale del settore primario. Invece, certifica la Corte, benché oltre un quarto di tutta la spesa agricola dell’Ue nel periodo 2014-2020 sia stata destinata alla mitigazione dei cambiamenti climatici, è dal 2010 che in Europa le emissioni di gas serra prodotte dall’agricoltura e dagli allevamenti non diminuiscono. Forse per questo la Commissione europea aveva proposto una riforma e strategie molto ambiziose per la sostenibilità del settore e la tutela delle biodiversità, ispirate a obiettivi precisi per il prossimo decennio: dimezzare l’uso dei pesticidi in agricoltura e dei farmaci negli allevamenti, ridurre del 20 per cento l’uso di fertilizzanti di sintesi, coltivare con metodo biologico almeno un quarto dei terreni, aumentare le aree naturali tra i campi coltivati. Peccato che poi nel trilogo con Consiglio e Parlamento europei abbiano prevalso gli interessi dell'agricoltura intensiva e ad alto tasso di chimica, anziché quelli dell’agricoltura sostenibile che produce cibo buono e sano, rispettando ambiente salute e lavoro.

Vincono le lobby e perde il clima

L’accordo tra i rappresentanti di Parlamento, Commissione e Consiglio sui punti principali della riforma della Pac, apre a un testo finale che mortifica le ambizioni ambientali e climatiche dell’Ue e premia ancora una volta la lobby dell’agribusiness. Anziché sostenere quella transizione ecologica del settore agricolo di cui abbiamo urgente bisogno anche per rispondere alla crisi climatica in atto, la sintesi trovata tra le istituzioni europee conferma le criticità della vecchia Pac: sostegno e sussidi soprattutto alle grandi aziende che praticano un modello di agricoltura industriale e insostenibile, pochi spicci alle aziende piccole a chi utilizza metodi agroecologici e a chi pratica l’agricoltura contadina.  Anche gli ecoschemi, le misure finalizzate alla tutela di clima, ambiente e biodiversità, vengono rese marginali con un’allocazione di risorse insufficiente e ampie flessibilità. Non si prevede neanche un tetto massimo ai sussidi che possono ricevere le singole aziende. E siccome i fondi sono assegnati con criteri che premiano gli ettari e i capi allevati, anziché la sostenibilità dei metodi adottati o l’intensità di lavoro umano, le grandi aziende continueranno a beneficiare della stragrande maggioranza dei fondi assegnati.

In vista della ratifica finale, spero sinceramente come l'eurodeputata di Europa Verde Eleonora Evi che il Parlamento europeo ascolti cittadini, produttori e associazioni che da mesi si oppongono a questa riforma e rigetti l’accordo.  

Compromesso al ribasso anche per la legge sul clima

Purtroppo anche sulla pur storica legge europea sul clima si è consumato un compromesso al ribasso. Tanto che all’Europarlamento i Greens/EFA hanno votato contro. Come ha più volte ribadito la comunità scientifica e come ha ricordato ancora una volta la Evi la riduzione delle emissioni del 55 per cento al 2030 – che noi italiani abbiamo irresponsabilmente fissato nel Pnrr a un livello ancora inferiore: il 51 per cento -  non è in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, ma servirebbe uno sforzo maggiore. Oltre ad essere insufficiente il target intermedio comprende nel calcolo anche l’assorbimento di CO2 da parte di suolo e foreste, artificio contabile che depotenzia ulteriormente la soglia del meno 55 per cento. Sebbene proprio l’azione dei Greens sia stata fondamentale per imporre la necessità di una legge europea sul clima, ottenere la promessa di un budget per i gas serra dal 2030 e istituire un comitato scientifico indipendente che dovrà monitorare e dare suggerimenti sulle politiche climatiche, ancora una volta il risultato non è stato all’altezza della sfida cui siamo di fronte. Bisogna fare molto di più. Servirà alzare il livello dell’ambizione, aumentare esponenzialmente gli sforzi e accelerare nell’azione, sia in Italia che in Europa, per arrivare preparati alla COP26 di Glasgow e uscirne con un successo per il clima. Altrimenti, dopo i casi di Germania, Belgio, Francia e Olanda, anche in Italia e in Europa potrebbe essere un giudice a imporre azioni a tutela del clima e dei diritti delle future generazioni adeguate alla situazione. Ma sarebbe l'ennesima sconfitta della politica.

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