Nei commenti delle decisioni della Bce della scorsa settimana si registra un consenso abbastanza diffuso su due punti. Il primo è che forse gli aumenti annunciati del tasso di interesse costituiscono una reazione eccessiva nel contesto europeo, dove, diversamente dagli Stati Uniti, l’inflazione non deriva soprattutto da un eccesso di domanda bensì dall’aumento dei prezzi di energia e beni alimentari; di fronte a shock dell’offerta la politica monetaria è inefficace e potrebbe provocare una recessione.

E’ vero che anche nel contesto europeo è importante evitare il disancoraggio delle aspettative di inflazione che potrebbe verificarsi qualora si innescasse una spirale prezzi-salari, nel tentativo di scaricare su altri la tassa costituita dall’aumento dei prezzi dell’energia ma a questo fine sarebbero probabilmente più efficaci politiche da tempo desuete quali una combinazione di politiche fiscali di sostegno delle famiglie e un ritorno alla concertazione tra governo, lavoratori e  imprese sulla dinamica salariale (come suggerito da Olivier Blanchard e Jean Pisani-Ferry).

Il secondo punto è la perplessità, per dirla con un eufemismo, che ha suscitato l’annuncio, in effetti generico e vago, di interventi selettivi per evitare la frammentazione dei mercati (lo “scudo anti-spread”). Un annuncio suscettibile di generare ulteriore incertezza. 

Intanto lo spread Btp-Bund la scorsa settimana è arrivato a 225, quasi cento punti base in più rispetto a inizio febbraio, un livello che ci riporta indietro di due anni, al maggio 2020.

L’Ufficio parlamentare di bilancio stima che un incremento di 100 punti base della curva dei tassi si traduce in un maggiore esborso annuo di 3 miliardi il primo anno, 7 miliardi il secondo e 10 miliardi il terzo.

Inoltre come già ampiamente annunciato, è stato confermato che i programmi di acquisto di titoli pubblici da parte della Bce non proseguiranno oltre questo mese di giugno. 

Per dare un’idea delle implicazioni, si può ricordare che il volume degli acquisti addizionali (vale a dire, senza considerare i rinnovi dei titoli in scadenza) della Bce di titoli italiani nel 2021 è stimato in 150 miliardi. E’ questo l’ordine di grandezza del maggior volume dei nostri titoli di stato che il mercato dovrà assorbire in un anno.

La doppia incertezza

C’è da essere preoccupati. La probabilità di tensioni sui mercati finanziari nei prossimi mesi è alta. All’incertezza economica si aggiungerà l’incertezza politica sull’esito delle elezioni del 2023 e sul tipo di governo che ne scaturirà. In ogni caso, in esso saranno presenti forze politiche che tendono a scaricare sul bilancio pubblico la loro ricerca di consenso (lo dice la storia recente, con misure come la flat tax, il bonus 110, il rifiuto di rivedere il catasto e la miriade di bonus).

C’è comunque un modo per costruire uno scudo anti spread domestico: mantenere gli impegni presi. Questa maggioranza ha approvato a fine aprile il Documento di economia e finanza presentato dal governo. E’ auspicabile che la prossima legge di bilancio resti all’interno di quel quadro programmatico per tutto il triennio 2023-2025.

Gli effetti di eventuali peggioramenti del ciclo economico potranno essere accomodati applicando autonomamente la nuova regola fiscale citata nell’articolo di Mario Draghi e Macron su Financial Times lo scorso dicembre, vale a dire impegnandosi a mantenere il percorso disegnato nel Def per le voci del bilancio pubblico che non sono influenzate dal ciclo.

Per evitare, poi, una campagna elettorale all’insegna di promesse mirabolanti e irrealizzabili, sarebbe il caso di seguire l’esempio dell’Olanda, dove i partiti sottopongono i propri programmi alla valutazione di un organismo indipendente che ne stima l’impatto sul bilancio pubblico.

Un cambio di passo rispetto alle abitudini degli ultimi anni che certamente eviterebbe di far rivivere i fantasmi del passato.

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