«La prima vittima della guerra è il pensiero», scrive Gabriele Segre su La Stampa. Credo abbia ragione. Dove operava la pratica del dubbio si è imposta la ratio delle sentenze. Dove influivano interrogativi propri di un approccio intellettuale si sono applicate scomuniche. È come se in un cupio dissolvi della “ragione” siano venute avanzando formule proprie della denigrazione e annientamento morale dell’altro da sé
«La prima vittima della guerra è il pensiero», così Gabriele Segre qualche giorno fa su La Stampa. Credo abbia ragione. Ciascuno di noi può testimoniarlo nella sfera quotidiana, nelle relazioni amicali e familiari, nello spazio ampio e plurale del discorso pubblico. Non si tratta di una novità, altre stagioni hanno visto peggiorare sino a liquefarsi l’amalgama sociale e culturale che, in condizioni ordinarie, scorta una dialettica delle differenze. A spezzare quel vincolo è un fattore storico ir



