Andrea Colamedici ha spiegato che Ipnocrazia (Tlon edizioni, 2024) non è opera di Janwei Xun, ma è stato scritto da lui con una procedura che integra prompt e risposte dell’intelligenza artificiale, riflessioni e citazioni varie. Xun è un dispositivo, dice, ma i dispositivi talvolta sono pericolosi e vivono di vita propria, prendendo il sopravvento sui propri creatori. Meglio guardarsene
Talvolta denunciare certi pericoli porta a crearne altri. Questo accade nel piccolo scandalo editoriale di questi giorni. Intervistato da Sabina Minardi sull’Espresso, Andrea Colamedici ha spiegato che Ipnocrazia (Tlon edizioni, 2024) non è opera di Janwei Xun, ma è stato scritto da lui con una procedura che integra prompt e risposte dell’intelligenza artificiale, riflessioni e citazioni varie.
L’operazione è animata da buone intenzioni: svelare i meccanismi della manipolazione della realtà da parte di poteri populisti, rivelare come questi meccanismi possano invadere il circuito della discussione pubblica, indicare che forse certe convenzioni, come quella per cui chi scrive un libro è chi dichiara di essere, sono fragili e non assolute. Sin qui bene.
Ben venga qualsiasi cosa riesca a catturare l’attenzione di lettori distratti. Scrivere sotto pseudonimo non è un delitto. Né lo è produrre testi che saccheggiano altri testi (lo facciamo tutti, anche se molti hanno il vezzo di dichiararlo subito). Nulla di nuovo né di scandaloso.
Le nostre menti sono estese: noi siamo gli strumenti che usiamo (la carta su cui faccio i calcoli è una parte della mia mente, e l’apparato di prompt, risposte, rielaborazioni e fonti parte della mente di Colamedici). La dicotomia umano/artificiale non ha mai avuto troppo senso. Libri dichiaratamente scritti da un team umano-artificiale non sono un problema. Libri che non dicono di esserlo, invece, lo sono. Ecco perché.
Chi l’ha scritto?
Ci importa chi ha scritto i cartelli stradali che ci danno indicazioni su dove andare? Ci importa che Google maps sia frutto dell’interazione fra satelliti e dispositivi di intelligenza artificiale e non di menti umane? Direi di no. E in questo senso Colamedici ha ragione: importa se il contenuto del libro ha senso, non chi l’ha scritto.
Ci importa solo che i cartelli stradali, chiunque li abbia scritti, dicano la verità e che Google maps ci porti a destinazione. Ma i libri non sono cartelli stradali, né sono Google maps. Sono enunciazioni di idee che presuppongono un autore, perché comunicano una presa di posizione sincera di cui ci si assume responsabilità.
Il punto non è l’autorità, ma l’autorialità. Il libro non è buono perché l’ha scritto un umano, o un grande autore, ma è un libro perché esprime le idee di un’entità che ha idee e dichiara di averle. I libri non di fiction presuppongono che l’autore creda a quello che dice. La sincerità dell’autore è parte del libro. Scrivere un libro è un atto performativo che include il porsi come autore.
Menzogna e verità
Colamedici, che cita il filosofo del linguaggio Austin rispondendo alle critiche che gli stanno arrivando, dovrebbe saperlo. L’“operazione ipnocrazia” produce un atto linguistico diverso da quello di scrivere e pubblicare un libro, e lo fa senza dirlo chiaramente. Non rileva che il libro contenesse indizi che hanno consentito ad alcuni di dubitare dell’identità dell’autore.
Ciò che fa funzionare le nostre società, e ciò che il populismo mina, secondo il libro stesso, è l’affidabilità e la sincerità, e la tutela delle aspettative che ne consegue. Se un falso sindaco dicesse: «Vi dichiaro marito e moglie», ma incrociasse le dita di nascosto sperando che il suocero si accorga della beffa, il matrimonio sarebbe nullo e scatterebbe il reato di millantato credito.
Inoltre, nessuno potrebbe mentire se tutti mentissero e tutti sapessero che tutti mentono. Si può mentire perché tutti dicono la verità. Se qualcuno è l’unico che mente e lo può fare perché tutti gli altri credono alle sue parole, e con la menzogna conquista vantaggi, c’è abuso di potere. Se qualcuno ha il potere di essere creduto perché ha una casa editrice di piccolo successo, può accedere ai giornali e usa questo potere e la credulità di chi lo ascolta per i propri fini, pur se nobili, questo è abuso di potere.
Aggiotaggio intellettuale
Sfruttare questi meccanismi non è solo denuncia o illuminazione intellettuale: è complicità. Al limite è una forma di aggiotaggio intellettuale. È come rubare per mostrare che non si dovrebbe rubare o che altri rubano. Il pericolo non è che false verità influenzino elettori ed elettrici. Il pericolo è che la verità non abbia più corso, che nessuno creda a nulla. Il pericolo non è la credulità, ma il cinismo.
Se non ci sono verità, non ci sono neanche valori, ma solo interessi e potere nudo. Ipnocrazia denuncia la manipolazione della realtà di Donald Trump. Però chi ha prodotto il libro, forse senza volerlo, agisce un po’ come Peter Navarro, consigliere di Trump, che cita l’economista inventato Ron Vara, anagramma del suo nome. Da tutto questo dovremmo guardarci, non divenendone complici.
Xun è un dispositivo, dice Colamedici (sicuramente Foucault è tra le fonti, nascoste o meno, di Ipnocrazia). I dispositivi talvolta sono pericolosi e vivono di vita propria, prendendo il sopravvento sui propri creatori. Meglio guardarsene.
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