«Il trickle-down non ha mai funzionato». Così si è espresso il presidente Biden nel suo discorso dei primi 100 giorni al Congresso americano. La sua affermazione è di grande importanza, considerato che in nome del trickle-down si sono adottate molte misure (non solo fiscali) a vantaggio dei ricchi. Il trickle-down è l’idea che se i ricchi si arricchiscono anche gli altri staranno meglio, inclusi i più poveri. Il maggior reddito o la maggiore ricchezza dei già molto ricchi “sgocciolerà” verso il basso.

Era in corso la campagna elettorale per le presidenziali statunitensi del 1896 quanto il candidato democratico, William Jennings Bryan disse: «C’è chi crede che basti adottare provvedimenti che arricchiscono i già ricchi perché la loro prosperità si riverserà su chi è più in basso». Il trickle-down era oggetto di dibattito politico già allora, anche se non si chiamava così. Sembra, infatti, che il termine si debba all’umorista Will Rogers che negli anni Trenta scrisse: «Il denaro è stato assegnato tutto ai più ricchi nella speranza che sgoccioli (trickle-down) verso i più bisognosi».

Bryan disse anche: «L’idea dei Democratici è, invece, che se si fanno politiche per rendere le masse prospere, la prosperità troverà il modo di diffondersi a chi è più in alto».

Se trickle-down vuol dire che accrescendo il reddito o la ricchezza dei più ricchi anche altri – necessariamente meno ricchi – potranno trarne qualche vantaggio non si vede perché un effetto simile non dovrebbe aversi accrescendo il reddito di chiunque altro.

Né crescita, né neutralità

Per comprendere la frase di Biden, è bene considerare altre possibili, e meno banali, accezioni del trickle-down. Una di esse è quella secondo cui se aumenta il reddito dei più ricchi, la crescita economica accelera. Ma l’evidenza empirica non corrobora questa tesi, come risulta, ad esempio, da uno studio di alcuni anni fa di Andrews, Jencks e Leigh riferito a 12 paesi avanzati e a un lunghissimo orizzonte temporale.

Secondo un’altra accezione, l’effetto consisterebbe nel fatto che il maggior reddito dei ricchi non si traduce in crescenti disuguaglianze perché lo “sgocciolamento” lascia invariate le disuguaglianze. Anche per questo effetto non vi sono probanti conferme. Sempre Andrews, Jencks e Leigh trovano che occorrono in media 13 anni perché una eventuale redistribuzione di reddito a vantaggio del 10 per cento più ricco della popolazione venga annullata attraverso il recupero della quota del restante 90 per cento. Dunque 13 anni di crescente disuguaglianza. Lo ‘sgocciolamento’, se c’è, se la prende comoda. Quando cresce la quota di reddito dei più ricchi non è facile “tenere le distanze” per coloro che stanno più in basso. Alan Krueger aveva stimato che nel periodo 1979-2007 ogni anno mille miliardi di dollari si erano spostati verso l’un per cento più ricco, mentre, nello stesso periodo, il reddito reale di mercato del 20 per cento più povero della popolazione si era ridotto in media dello 0,4 per cento l’anno e quello dei due quintili immediatamente superiori era cresciuto dello 0,1 e dello 0,3 per cento, e principalmente grazie all’intensificarsi del lavoro femminile.

Dunque si può di certo concordare con Biden che il trickle-down non ha funzionato, se non forse nel senso banale che quando i ricchi si arricchiscono qualcun altro ne beneficia. Ma, considerando come i più ricchi, in base alle loro abitudini di consumo, spenderebbero il loro extra-reddito, questo qualcun altro potrebbe facilmente essere chi è già piuttosto ricco. E ciò vale anche se non ci limitiamo a considerare il consumo. Il ricco che risparmia e investe in Borsa avvantaggia altri che hanno investito in Borsa e che non sono certamente i più poveri. Idem per gli investimenti immobiliari. Determinate modalità di miglioramento del reddito dei più ricchi come la riduzione delle aliquote di imposta possono nell’immediato aggravare le disuguaglianze al di là dell’effetto diretto della riduzione delle imposte. A partire dagli studi di un paio di decenni fa di Piketty e Saez e di Atkinson e Leigh, si è accumulata sufficiente evidenza che spesso – soprattutto negli Stati Uniti – la riduzione delle aliquote di imposta sui redditi più alti è stata seguita dall’aumento del reddito lordo, non solo netto, dei più ricchi. Una possibile spiegazione è che la previsione di disporre di un maggiore reddito netto rende conveniente fare sforzi per accrescere il reddito lordo. Qualcosa del genere sembra accaduto per le retribuzioni di top manager e delle star dello sport e dello spettacolo.

L’affermazione di Biden rovescia una narrativa che ha giovato ben poco al contrasto delle disuguaglianze e alla crescita economica.

© Riproduzione riservata