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Esattamente un anno fa, una ricerca di Pew Charitable Trusts e Systemiq aveva stimato il fallimento globale nell’affrontare la questione del flusso di plastica che va dai nostri consumi fino agli oceani. Attualmente siamo intorno a 11 milioni di tonnellate ogni anno, il dato – se non faremo niente per cambiare le cose – potrebbe arrivare a 29 milioni entro il 2040, quando l’accumulo totale potrebbe passare da 150 a 600 milioni di tonnellate. La buona notizia è che non è vero che non stiamo facendo niente: il 3 luglio entra in vigore nell’Unione europea la direttiva 904 del 2019 sulle Sup, le single use plastic. Saranno vietate le stoviglie usa e getta, la palette per il caffè, i contenitori di polistirolo, i bastoncini dei palloncini, le cannucce, i cotton fioc.

Si fa presto a dire green

In Italia questo approccio, lineare e noto da ben due anni, si è trasformato, a un mese dall’entrata in vigore, in un dibattito nel quale si mettono addirittura in discussione due cardini (almeno teorici) di questo governo: l’europeismo e la transizione ecologica. L’Italia sta trattando con la Commissione per poter recepire la direttiva al ribasso. La plastica monouso è diventata all’improvviso simbolo e trincea del conflitto ambientale nazionale e rischia davvero di affossare la credibilità ecologica del governo.

Il ministro Cingolani: «L’Europa ha dato una definizione di plastica stranissima, e cioè che va bene solo quella riciclabile. Tutte le altre, anche se sono biodegradabili o sono additivate di qualcosa, no». Il ministro Giorgetti: «L’ecologia non può essere sinonimo di leggerezza. Condivido la difesa ambientale, la prospettiva green funzionale ma dobbiamo essere capaci di creare un sistema che permetta alle nostre aziende una transizione positiva e non inutilmente traumatica». Il presidente di Confindustria Carlo Bonomi ha denunciato una «impropria, ingiustificata e sproporzionata applicazione della direttiva» e l’ex presidente Antonio D’Amato (leader del gruppo Seda, settore imballaggi e packaging) ha addirittura detto che la direttiva trasforma il Green deal europeo in un black deal.

L’Italia contesta sia la definizione di plastica che di monouso, chiede l’esclusione dal bando di quelle biodegradabili e compostabili e dei bicchieri di carta coperti da uno strato di polimeri per renderli impermeabili. Sulle plastiche bio da noi si è investito in incentivi, crediti di imposta, ricerca e sviluppo, anche dopo la direttiva che le aveva equiparate alla plastica tradizionale. Avevamo due anni di tempo per abbandonarle, li abbiamo usati per rafforzarle. Sui posti di lavoro in gioco, c’è da capire se siano stati messi a rischio dalla direttiva europea o dalla scelta italiana di ignorarla così a lungo. Insomma, siamo andati contro il mandato europeo finché le due impostazioni non sono andate in conflitto, cioè ora. Non è solo un problema di quali stoviglie di plastica mettere al bando e quali continuare a usare, qui ci sono due visioni di futuro che si scontrano.

«Mentre in altri paesi europei si sta passando dall’usa e getta al riuso, l’Italia vuole fare la transizione da una tipologia di monouso all’altra», spiega Giuseppe Ungherese, responsabile inquinamento di Greenpeace. «Economia circolare non è solo riciclo ma far durare i beni più a lungo. La politica italiana aveva due anni di tempo per adattarsi, abbiamo una classe politica che si fa piombare le cose addosso e si sveglia un mese prima che la direttiva entri in vigore».

La trattativa con la Commissione è in corso, l’effetto è vistoso anche perché rischiamo di presentarci alla Cop26 di Glasgow da paese co-organizzatore e contemporaneamente da baluardo europeo della plastica monouso.

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