Oggi il presidente del Consiglio Mario Draghi presenta al Senato il suo governo; in un quadro di esagerate attese, preludio inevitabile di successive disillusioni, alcuni lamentano i silenzi sul programma, ma i grandi obiettivi sono noti. Al centro ci saranno il contrasto al Covid, la risposta italiana al Next Generation Eu (Ngeu, con un ruolo-chiave nell'ambiente), il riavvio della crescita per ricucire le tensioni sociali ed economiche.

Fra le cose di cui non parlerà, ma cruciali, ci sarà la revisione del Patto di Stabilità e Crescita, la cui validità è sospesa per la pandemia.

Alla sua base c'è un tetto del 60 per cento al rapporto debito pubblico/Pil e del 3 per cento al rapporto deficit annuo/Pil; a noi fu concesso di partire con un rapporto debito/Pil ben maggiore, a fronte dell'impegno al graduale rientro, disatteso poi specie dai governi Berlusconi.

Francia e Germania per prime le violarono; esse furono poi rese meno rozze ma più complesse, prevedendo fra l'altro un sentiero di riduzione dei debiti eccessivi e concedendo più spazi in presenza di margini di capacità produttiva inutilizzata (Output gap).

La norma vecchia è sospesa; in attesa che il Covid svanisca, probabilmente non prima della fine del 2022, va messa a punto quella nuova.

Il dibattito in corso

Si confronteranno qui due visioni. La prima è riflessa nella norma sospesa, ad applicazione quasi automatica, per la mancanza di fiducia fra Stati membri; la seconda presuppone una ripresa della fiducia, che dia più spazio a scelte politiche discrezionali nell'Unione economica e monetaria.

Ciò potrà avvenire solo se la gestione del Ngeu sarà corretta ed efficace, soprattutto in Italia e, magari di conseguenza, decadrà il principio dell'unanimità nel Consiglio Europeo, appena scalfito.

Le norme sospese conteggiavano nel deficit annuo ogni uscita, che fosse spesa corrente o investimento. È noto che siamo da decenni i più virtuosi nell'eurozona quanto a saldo primario; esso esclude dal deficit gli interessi sul debito che, specie prima del Quantitative easing, han gonfiato il rapporto debito/Pil, complice la crescita del denominatore, quasi nulla già prima del Covid.

Tale “virtù” è riflessa nei sempre minori importi dedicati alla coesione e allo sviluppo; si pensi al calo negli investimenti, nella pubblica istruzione, nella ricerca, nell'ammodernamento delle strutture pubbliche specie in quel Sud che l'Italia, Sud incluso, tratta da malato cronico. Questa virtù strozza la crescita, esalta il peso del debito, sfrangia il tessuto del Paese.

Non c'è bisogno di “rimborsare” il debito, basta rinnovarlo, grazie alla fiducia dei creditori, senza la quale però c'è il baratro; ciò detto, dai debiti eccessivi si esce in modo sano con lo sviluppo, in modi diversamente insani con un eccesso di inflazione o con il default, la creazione di moneta non essendo più a nostra discrezione.

Ai cittadini di uno Stato super-indebitato (già ora, prima degli aumenti da Covid e da Ngeu), sta a cuore lo sviluppo, economico e civile. Ciò postula la saggia revisione del Patto di Stabilità, che potrebbe iniziare escludendo dal conto del deficit annuo gli investimenti; continuare a includerli è come fare il conto economico di un'impresa spesando gli investimenti. Quanti risulterebbero allora in attivo?

La scelta degli investimenti

Ma non corriamo troppo; il grande J.M. Keynes diffidava di chi ritene sempre virtuosi gli investimenti, e non è sempre chiaro quali uscite siano davvero tali. Un ponte inutile è anche dannoso, perché sottrae risorse non solo a quelli utili, ma anche a spese ad utilità ripetuta negli anni. Si pensi a quelle che permetterebbero una ben maggior efficacia dell'insegnamento in scuole e atenei, di nuovo specie al Sud. 

Le norme sospese sottovalutavano la sostenibilità della spesa (pensioni) e mitizzavano il Pil. Non è solo l'errore di chi confronta un flusso, il deficit, con uno stock, il debito. Le risorse a servizio di questo, inoltre, sono le entrate fiscali future, pur ardue da calcolare; il Pil ne è solo un pallido riflesso. Pesa infine anche il debito privato, l'ha mostrato la crisi finanziaria.

Sarà un lavoro difficilissimo ma necessario; checché si pensi del Conte 2, difficilmente potremo avere ora interpreti più accorti dell'inserimento dell'interesse italiano in quello più ampio della costruzione europea, di cui l'euro è un pilastro portante. I suoi difetti di costruzione sono noti a chi partecipò al suo affrettato, ma non più rinviabile, avvio; solo in un rinnovato clima di collaborazione, del quale la nostra attuazione del Ngeu è parte essenziale, essi saranno emendati.

Quando la polvere della lotta al Covid si poserà, su questo terreno si combatterà la battaglia finale per l'Europa; chissà che non si realizzi allora il sogno di quanti videro firmare il Trattato di Roma.

© Riproduzione riservata