L’inflazione ha sorpreso tutti, ma la Fed, banca centrale Usa, doveva aspettarsela da quando (agosto 2020) ha mutato rotta. Con la nuova, deve attendere che si surriscaldi l’occupazione prima di alzare i tassi, anziché agire in prevenzione. Ha atteso troppo; con lei la Banca centrale europea (Bce) e altre, dichiarano ora guerra totale all’inflazione, ma le realtà loro affidate sono diverse. La Fed è unica perché fissa i tassi della moneta di riserva del mondo (ma un uso troppo spavaldo delle sanzioni può mettere a rischio quel ruolo).

Anche Bce, Bank of England e Schweizerische Nationalbank hanno annunciato una sfilza di aumenti dei tassi nominali; quelli reali restano però azzerati dall’inflazione. Come la Fed, le ultime due stampano la moneta d’uno stato sovrano, che pertanto farà sempre fronte ai propri obblighi; per difendere i creditori dalle perdite di valore, devono garantire la stabilità della moneta.

Può rischiare il default chi s’indebita in valuta altrui, come soprattutto i paesi emergenti. Il rialzo del dollaro li espone a rischi; non se ne curano troppo gli Usa, emittenti di quella che John Connally (segretario al Tesoro di John F. Kennedy, era sull’auto che lo seguiva in corteo il 22 novembre 1963 a Dallas) definì «la nostra moneta e il vostro problema».

Evitare il sadomonetarismo

La Bce è un caso a sé, cura la politica monetaria dei 19 stati dell’euro, una moneta su cui essi hanno un controllo solo condiviso; non li protegge dal default la possibilità di stampare valuta propria.

Tutte le banche centrali hanno anche altri obiettivi, più o meno dichiarati, come favorire la crescita e la stabilità finanziaria, ma non a discapito della stabilità monetaria. Devono evitare il “sadomonetarismo” evocato da Paul Krugman, che provocherebbe la recessione costringendole a penose conversioni a U.

La Bce è la più preoccupata degli effetti indesiderati della stretta, gestendo la valuta di tanti paesi; più di tutte essa teme di strozzare la crescita e l’occupazione. Solo queste infatti, con le giuste politiche di bilancio, riassorbono i debiti eccessivi; altrimenti è a rischio l’esistenza sua stessa.

L’assenza fra gli obiettivi Bce della tutela dell’occupazione, dovuta all’imprinting della tedesca Bundesbank nella sua gestazione, rende più delicato il dosaggio dei suoi interventi rispetto alle omologhe.

Essa prepara ora uno strumento che protegga gli stati più indebitati, come l’Italia, da possibili crisi di panico fra gli investitori, come una run on the bank, avulse dai fondamentali. Se davvero vogliamo un’Europa forte, solidale, influente, recuperiamo la sanità fiscale; non ce n’è traccia nelle conclusioni della Commissione parlamentare sulla riforma fiscale, solo attenta a “non metter le mani nelle tasche degli italiani”. Che sciagurata fortuna per uno slogan abietto.

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