Tra le strutture per la governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), c’è un’Unità preposta alla semplificazione e razionalizzazione legislativa, per agevolare l’attuazione del Piano. Può essere utile valutare se il governo stia rispettando i propositi di buona regolamentazione anche nella sua ordinaria attività normativa.

Nel mese di maggio, il cosiddetto decreto governance (n. 77/2021) ha, tra le altre cose, definito gli attori principali della gestione dei fondi europei: la Cabina di regia – istituita presso la presidenza del Consiglio – che «esercita poteri di indirizzo, impulso e coordinamento generale sull’attuazione degli interventi del Pnrr», monitorandone lo «stato di attuazione»; il Servizio centrale per il Pnrr, presso il ministero dell’Economia, che «rappresenta il punto di contatto nazionale per l’attuazione» del Piano e ha «compiti di coordinamento operativo, monitoraggio, rendicontazione e controllo».

La segreteria tecnica, palazzo Chigi, preposta a valutare criticità segnalate dai ministeri ed eventualmente proporre l’esercizio di poteri sostitutivi, per garantire l’attuazione del Piano.

Presso la presidenza del Consiglio è anche costituita una Unità per la razionalizzazione e il miglioramento dell’efficacia della regolazione, che opera «in raccordo con il gruppo di lavoro sull’analisi dell’impatto della regolamentazione».

L’Unità ha, tra gli altri, il compito di individuare, «gli ostacoli all’attuazione corretta e tempestiva delle riforme e degli investimenti previsti nel Pnrr derivanti dalle disposizioni normative e dalle rispettive misure attuative» e suggerire «riforme della normativa primaria e subordinata».

Tale struttura opera in raccordo con l’Ufficio per la semplificazione del Dipartimento della funzione pubblica, tra le altre cose, a fini di «promozione e coordinamento degli interventi di semplificazione e reingegnerizzazione delle procedure», nonché di «misurazione e riduzione dei tempi e degli oneri a carico di cittadini e imprese».

Questa Unità è quanto mai importante: un’ampia mole di norme complicate, affastellate e poco coerenti aggrava lo svolgimento di ogni attività che richieda una qualche azione di tipo amministrativo, con procedure farraginose e adempimenti costosi, che possono intralciare la realizzazione del Pnrr.

Ci si aspetterebbe che, a prescindere dal Piano, il governo abbia iniziato un percorso virtuoso in base a principi di buona regolamentazione. Tuttavia, così non pare.

I richiami di Mattarella

Italian President Sergio Mattarella,Pope Francis wearing a face mask attends a ceremony for peace with representatives from various religions in Campidoglio Square in Rome on October 20, 2020 (Photo by Stefano Spaziani) | usage worldwide Photo by: Stefano Spaziani/picture-alliance/dpa/AP Images

Innanzitutto, anche il governo Draghi è ricorso alla pratica, criticata da tempo dal Comitato per la legislazione, di abrogare decreti-legge prima della scadenza e farli confluire in provvedimenti successivi.

Come ricorda Openpolis, nel luglio scorso sia il decreto agricoltura che il decreto lavoro e imprese sono stati abrogati dalla legge di conversione del decreto sostegni bis (n. 106/2021), che li ha assorbiti al fine di evitarne la decadenza in agosto, durante la sospensione dei lavori per la pausa estiva.

Ma così, tra l’altro, è stato ridotto il tempo (60 giorni) per l’esame del Parlamento. La Corte Costituzionale (sent. n. 58/2018) ha affermato che la confluenza in un unico testo di più decreti-legge arreca un «pregiudizio alla chiarezza delle leggi e alla intelligibilità dell’ordinamento», comportando talora un aumento delle dimensioni dei testi, nonché della loro complessità.

Questa modalità è stata stigmatizzata anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il quale in un precedente richiamo aveva pure rilevato che l’esecutivo deve «vigilare affinché nel corso dell’esame parlamentare dei decreti legge non vengano inserite norme palesemente eterogenee rispetto all’oggetto e alle finalità dei provvedimenti d’urgenza».

Il presidente ha anche sottolineato come «la moltiplicazione dei decreti-legge, adottati a distanza estremamente ravvicinata» abbia determinato «un consistente fenomeno di sovrapposizione e intreccio di fonti normative».

Basti pensare ai decreti-legge in tema di “green pass”: quello che impone la certificazione verde in ogni luogo di lavoro (n. 127/2021) è stato emanato solo una settimana dopo il precedente decreto (n. 122/2021), che ha esteso l’obbligo di “green pass” a chiunque acceda agli edifici scolastici, e circa un mese dopo il decreto che aveva imposto il pass ai lavoratori della scuola (n. 111/2021), che a propria volta era arrivato a breve distanza da quello che ha sancito l’obbligo di pass per cinema, ristoranti ecc. (n. 105/2021).

Le pratiche sopra rilevate pregiudicano «l’interesse ad un’ordinata ed efficiente regolamentazione dell’emergenza in corso, della ripresa economica e delle riforme». Inoltre, «la necessità di attuare speditamente il programma di investimenti e riforme concordato in sede europea non può (…) affievolire il dovere di richiamare al rispetto delle norme della Costituzione».

Puzzle normativo, FAQ

LaPresse

Uno strumento di buona regolamentazione è l’analisi degli impatti che i provvedimenti del governo, e non solo, sono destinati a produrre.

Ma per i decreti-legge connessi all’emergenza da Covid-19 la ristrettezza dei tempi ha portato a trascurare tale strumento, peraltro non utilizzato in modo efficace nemmeno in precedenza, come si rileva dalle relazioni che annualmente il governo presenta al parlamento.

Buona regolamentazione significa anche non ricorrere a normative di difficile ricostruzione, con rinvii, richiami e riferimenti a disposizioni correlate, a propria volta modificate e integrate da altre. Ma anche questo non è stato evitato dal governo.

Basti pensare alle sanzioni per le violazioni in tema di “green pass”: esse sono contenute in norme di un decreto-legge del marzo 2020, sulle quali sono intervenuti vari provvedimenti successivi, e così gli ultimi decreti contengono una serie di rimandi che rendono ardua la composizione del puzzle regolatorio.

Anche il governo Draghi, come quello precedente, ha introdotto regole mediante improprie fonti del diritto.

Si rammenti, ad esempio, la FAQ che nel mese di agosto ha “imposto” l’obbligo di certificazione verde nelle mense aziendali, circa tre settimane dopo il relativo decreto-legge, e nonostante una ricognizione sistematica delle norme portasse a conclusioni diverse.

Ancora a proposito di fonti e della loro gerarchia, da ultimo un decreto del presidente del consiglio (Dpcm) ha declassato il lavoro agile nella pubblica amministrazione a modalità di lavoro non ordinaria, in “deroga” alla legge istitutiva del 2017 (n. 81), che lo pone sullo stesso piano di altre; e il comunicato a margine del Dpcm, come la bozza di decreto del ministro per la Pubblica amministrazione con linee guida per il rientro in presenza, subordina lo smart working ad accordi individuali, in “deroga” a un decreto-legge dell’aprile scorso (n. 56), secondo cui tali accordi non servono fino alla stipula di contratti collettivi nazionali.

Dunque, istituire un apposito organismo per garantire la buona regolamentazione del Pnrr, ma non garantirla ordinariamente, sembra un controsenso, cui il governo farà bene a porre rimedio.

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