Il primo punto del programma del centrodestra è stato già tradito: dare al paese un governo “finalmente scelto dagli elettori”, come dicono loro che non hanno mai capito la democrazia parlamentare.

Dopo un decennio di coalizioni di emergenza, anche a sinistra in tanti hanno salutato come una positiva novità il ritorno a una fase di schieramenti chiari.

Gli elettori hanno votato il centrodestra, che ha stravinto, giusto che loro governino e che gli altri facciano una opposizione che, bizzarria tutta italiana, i partiti sconfitti considerano “rigenerante”.

Tale schema è saltatp al primo voto utile, sul presidente del Senato Ignazio La Russa, eletto da una maggioranza parlamentare che non include uno dei partiti della maggioranza politica, Forza Italia.

Il patto con gli elettori viene poi violato ogni giorno nei negoziati sulla composizione del governo: la premier in pectore Giorgia Meloni aveva trasmesso una falsa impressione di controllo sulla sua coalizione, riassunta nello slogan “pronti”.

Ma non controlla nulla, anzi, a dieci giorni dal voto tutto è in discussione, perfino la sua capacità stessa di formare un governo.

Non vuole nominare i suoi fedelissimi per evitare l’effetto “marcia su Roma”, non trova tecnici di rilievo che si prestino, se prova a fare un governo politico si trova impantanata nei veti incrociati interni ai partiti alleati.

Il tanto celebrato silenzio di Meloni dopo il voto non era una sottile strategia  comunicativa per alludere a modestia e serietà, ma l’assenza di cose da dire.

Come spesso accade in Italia e non solo, la stasi ha anche i suoi vantaggi: resta in carica per gli affari correnti il governo Draghi, e molti si sentono rassicurati a vedere che a Bruxelles a discutere di tetto al prezzo del gas il 20 ottobre ci sia ancora Mario Draghi.

Ma resta la domanda, ci può essere un governo Meloni con le attuali premesse? Come aveva profetizzato Carlo De Benedetti, editore di Domani ma soprattutto avversario da una vita di Silvio Berlusconi, l’ex Cavaliere non si rassegna al ruolo di gregario a cui gli anni e i disastri politico-giudiziari lo hanno relegato. Non si capacita di dover obbedire alla sua ex ministra della Gioventù.

Con una legge elettorale che costringe i partiti a formare coalizioni pre-elettorali proprio per anticipare negoziati e compromessi prima del voto, trovarsi in simili condizioni è già un fallimento: l’unità millantata in campagna elettorale, vero vantaggio competitivo rispetto agli avversari, era solo pubblicità ingannevole.

Così come la promessa di moderatismo rassicurante, cancellata dalla scelta di Ignazio Benito La Russa per il Senato e dall’ultrà reazionario Lorenzo Fontana per la Camera. Non è per questo progetto politico che molti elettori hanno votato Meloni e Fratelli d’Italia.

Adesso tutto inizia a sembrare possibile, quasi come dopo il voto del 2018 quando lo stallo dovuto ha un parlamento tripolare aveva prodotto la coalizione populista tra Lega e Cinque stelle.

Se la coalizione di centrodestra non c’è praticamente più, salta anche l’automatismo di Giorgia Meloni come premier da incaricare in automatico. E se Forza Italia si sfila, Meloni o chi per lei proverà a costruire un centrodestra allargato a Italia Viva e Azione oppure sarà l’occasione per scaricare se non la Lega almeno l’impresentabile putiniano Matteo Salvini?

Chissà che il richiamo elettorale di alcuni partiti alla necessità di proseguire con “l’agenda Draghi” e forse con lo stesso Mario Draghi non torni d’attualità.

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