I giornali internazionali si sono sorpresi per un paese che, in piena crisi internazionale, rinuncia a Mario Draghi. Ma corrispondenti esteri e commentatori a Parigi, Londra e Madrid poco frequentano la moviola politica italiana, il Var che esalta e amplifica ogni minimo movimento.

Chi conosce il calcio sa che il Video Assistant Referee può aiutare a determinare l’oggettività dei fatti, ma la stessa tecnica di dettaglio e tempo dedicato alla scena politica, rischia invece di confondere.

Dettagli, tweet o espressioni facciali possono diventare breaking news, in una serie infinita di commenti dopo partita. Qualunque fibrillazione può guadagnare intere settimane di esposizione mediatica massima.

La politica a quanto pare è consapevole di ciò che sta accadendo: Matteo Renzi, nel suo intervento iN Senato sulla crisi, ha citato i reality show come matrice degli avvenimenti che hanno portato alla caduta del governo.

La politica che diventa un genere, un linguaggio, con i suoi bassi costi di produzione risponde all’invecchiamento sistemico della televisione generalista e la crisi dell’editoria post-digitale.

Un effetto inversamente proporzionale della politica raccontata in quantità e modalità “binge watching” è il crescente astensionismo. I politici diventano volti popolari al pari di personaggi dello spettacolo e dello sport, ma il cittadino si abitua a essere spettatore anche quando ha l’occasione di dire la propria.

Raccontare la politica in modo diverso è invece possibile. Il cittadino europeo ha una “dieta politica-mediatica” ben più leggera, spesso una sintesi degli eventi politici della giornata, di solito confinata in un breve pezzo nei tg.

Nel resto delle pagine e dei palinsesti europei la politica è solo raramente rappresentata in quanto tale e quando c’è è ben calata nel “mondo reale”, identificata con una visione chiara e le sue proposte sulle grandi questioni come ambiente, scienza, società, diritti.

Politici e giornalisti della politica nei principali paesi europei hanno ambiti mediatici ben delimitati e solo occasionalmente guadagnano ulteriori spazi.

Il commento in diretta dai salotti televisivi è poco utilizzato. La politica lavora con i fatti, il giornalismo è impegnato con la realtà della vita.

Il fenomeno del talk in quanto tale con lo schermo diviso in tre o quattro finestre è un’invenzione americana, che si deve essenzialmente a Fox News, la rete che per prima ha sdoganato le opinioni estreme anche in assenza di verifica oggettiva. Per una rete che trasmette H24,  che ha come agenda politica la creazione di un’opinione pubblica antisistema, in effetti è stato l’uovo di Colombo.

Eppure la politica in quanto tale può produrre una diversa rappresentazione, oggettiva, avvincente:  in Francia pochi giorni fa su France TV è andato in onda il bellissimo documentario Un president, l’Europe et la guerre (lo trovate su Youtube): una telecamera ha seguito per più di tre mesi il presidente Emmanuel Macron e la sue cellula diplomatica, proprio nei giorni più drammatici dell’inizio della guerra, un documento che consente allo spettatore di entrare nei meandri della politica internazionale, nei colloqui riservati il dialogo con Putin, il viaggio a Kyev con Draghi e Scholz, di capirne i giochi e il linguaggio.

L’imminente campagna elettorale di cui già sono visibili i prodromi, potrebbe essere il luogo ordinato e misurato in qualità e quantità nel quale rappresentare la politica.

Se invece diventerà l’ennesima occasione per un profluvio da “mane a sera” di commentatori, il paese reale, le sue istanze, problemi, gli stessi programmi delle parti politiche, diventeranno lo sfondo di un teatrino i cui attori rischiano di trovarsi attoniti, senza ben sapere quale consapevolezza i loro discorsi, abbiano prodotto nei cittadini elettori.

Chissà, se la consueta disaffezione dagli schermi delle vacanze estive contribuirà a ripristinare una sana dieta mediatica salvandoci dalla grande abbuffata del talk politico.

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