Dal 14 al 18 novembre i settanta vescovi tedeschi sono attesi per la visita ad limina a Roma. Il tema più delicato e discusso è il sinodo tedesco. Aperto con la sua prima sessione il 30 gennaio 2020, il Synodalen Weg è arrivato a celebrare la quarta sessione l’8-10 settembre scorso e si chiuderà a marzo del 2023. Il processo è accompagnato fin dal suo avvio dal sospetto di una deriva scismatica.

Gli auspicati cambiamenti normativi e teologici preparerebbero una fuoriuscita del cattolicesimo tedesco dalla cattolicità della Chiesa.  Negli ambienti tradizionalisti e curiali lo si dà per probabile, se non sicuro.

In compenso gli stessi non avvertono gli scismi già in atto, come la massiccia fuoriuscita dei credenti dall’appartenenza confessionale (in trent’anni i cattolici sono scesi da da 28,3 milioni a 22,2) e l’estraneità dei credenti rispetto alle indicazioni morali che, nelle generazioni più giovani, risultano del tutto rimosse. Molto difficile da spiegare oggi la grave condanna morale alla masturbazione o alla convivenza prima del matrimonio.

Al lupo, al lupo

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È curioso che di scisma parlino solo gli oppositori. Nessuna voce interna, né di singoli né di gruppi, ha mai accennato all’idea. Uno dei protagonisti mi diceva: «Per fare uno scisma nazionale ci vorrebbero una montagna di soldi, una sponda robusta nel potere politico e soprattutto una originale interpretazione del cristianesimo. Non c’è alcuna di queste condizioni. Il nostro riferimento è il Vangelo, il Vaticano II e papa Francesco. Nessuno vuole il distacco da Roma».

In un comunicato congiunto del presidente della Conferenza episcopale, George Bȁtzing, e della presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK), Irme Stetter-Karp, in seguito alla nota critica della Segreteria di stato del 21 settembre 2022, si dice: «Non ci stancheremo mai di sottolineare che la Chiesa in Germania non mira a un “percorso speciale tedesco”».

Della fatica e del coraggio della Chiesa tedesca è un segnale la sofferta condizione dei vescovi. Prima il cardinal Reinhard Marx (Monaco), poi monsignor Stefan Hesse (Amburgo), ora monsignor Ludwig Schick (Bamberga) hanno dato le dimissioni, anche se il papa ha accettato solo quelle di Schick. La difficile gestione degli abusi si somma al normale lavoro pastorale e alle esigenti domande di riforma.

Gli abusi e le questioni di fondo

Il detonatore che ha provocato il ricorso al sinodo nazionale sono stati i numeri degli abusi. Nello studio discusso dai vescovi nel 2018 si registravano tra il 1946 e il 2014 3.677 vittime e 1.670 preti predatori. Numeri ulteriormente gonfiati dai rapporti diocesani che stanno ancora uscendo, riaprendo ogni volta le ferite.

Si calcola che sia coinvolto il 5,1 per cento dei preti (attualmente poco più di 12.000). La reazioni pubblica è stata molto forte con il conseguente crollo di credibilità della Chiesa.

Ma gli abusi hanno messo a nudo problemi più ampi e più radicali. Da decenni travagliano la Chiesa e hanno trovato espressione già nel sinodo di Würzburg (1971-1975): è in atto una crescente erosione e decadimento della fede, una grave crisi nel clero, un necessario rinnovamento della pastorale.

Davanti alla consunzione della credibilità alcune riforme strutturali sono la condizione minima per poter ripartire. Il compito principale, che è quello dell’annuncio e dell’evangelizzazione, è legato alla credibilità delle strutture ecclesiali.

«Dobbiamo arrivare ad alcune decisioni sulla struttura ecclesiale – sottolinea il mio interlocutore – per ottenere una credibilità perduta. Sappiamo che la riforma ecclesiale non nasce da una assemblea sinodale ma dalla testimonianza cristiana di ciascun credente e dal movimento sinodale complessivo della Chiesa. Il vero nodo è l’evangelizzazione in una società post-secolare, ma senza riforme anche strutturali non riusciremo».

L’assemblea e i forum

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I 230 sinodali, compresi i 70 vescovi, si sono divisi in quattro forum: potere e responsabilità nella Chiesa, il ruolo delle donne, i preti e il loro vissuto, l’amore e la sessualità. Ciascun forum ha elaborato un documento di fondo e un secondo testo di indicazioni pratiche. A questi se ne sono aggiunti altri.

Alcuni sono già stati approvati (come il testo sul potere e responsabilità e sul ruolo della donna). Uno è stato bocciato, quello sulla sessualità, ma verrà riproposto come materiale per il sinodo universale. Gli altri dovrebbero arrivare a maturazione con l’ultima assemblea.

L’approvazione avviene con i due terzi dei sinodali e i due terzi dei voti dei vescovi. Quindi chiede una vasta convergenza. E in ogni caso i testi non sono vincolanti e sono affidati ai singoli vescovi in ordine alla loro esecuzione pratica.

Nella loro successiva elaborazione sono scomparse la posizioni più radicali, come la domanda di ordinazione presbiterale per le donne o l’abolizione del celibato ecclesiastico. Ma non mancano richieste esigenti come la formazione di un “consiglio sinodale permanente”, il coinvolgimento delle donne nei servizi ecclesiali (dall’insegnamento ai ruoli curiali), un rinnovamento radicale nelle formazione dei preti, lo spazio per i “viri probati” e per un servizio di presidenza non liturgica per laici con formazione teologica e per credenti di autorevolezza riconosciuta, un approccio positivo e meno normante sulla sessualità, compresa l’omosessualità, il prosieguo della ricerca sui ministeri ordinati per le donne.

Temi che trovano riscontro nelle relazioni delle conferenze nazionali per il sinodo universale e nel documento, recentemente pubblicato, per la sua tappa continentale.

Limiti

L’ampiezza e il numero dei testi hanno reso difficile la comunicazione esterna e, in particolare, con Roma, dove sono più facilmente arrivate le voci più critiche.

Solo recentemente vi è stato lo sforzo di una dialogo diretto di alcuni vescovi con le istanze romane. Scarse le traduzioni in altre lingue dei testi e  poco coltivate le relazioni con gli episcopati vicini.

A conferma del lavoro sinodale, ma anche come critica, andrebbe riletta la lettera di papa Francesco al «popolo di Dio che è in cammino in Germania», soprattutto quando accentua la dimensione orizzontale e verticale del processo, la centralità dell’evangelizzazione, il rapporto fra Chiese locali e Chiesa universale, il pericolo della burocratizzazione e della riduzione elitaria del popolo di Dio (29 giugno 2019).

Risposte ai critici

Pungenti anche se non numerose le critiche interne: dal card Rainer Maria Wölki (Colonia) ai vescovi Stephan Oster (Passau), Rudolf  Voderholzer (Regensburg), Dominukus Schwaderlapp (ausiliare Colonia), Gregor Maria Hanke (Eichstȁtt) ecc.

Di maggior risonanza pubblica le posizioni contrarie del card. Gerhard Ludwig Müller e di due altri cardinali non certo catalogabili come conservatori come Walter Kasper e Kurt Koch. Tre i gruppi episcopali intervenuti: polacco (febbraio 2022), di alcuni paesi del Nord Europa (marzo 2022) e di una settantina di vescovi fra Stati Uniti e Africa (aprile 2022).

Le risposte di monsignor Bȁtzing si possono così sintetizzare: le osservazioni spesso non corrispondono a quanto effettivamente discusso e ai testi approvati; è ben presente al sinodo ciò che è possibile attuale a livello locale e quello che coinvolge l’intera Chiesa; andare avanti come sempre si è fatto, produce gravi danni per le comunità del futuro; il problema abusi coinvolge praticamente tutte le Chiese ed è necessario affrontarlo con vigore; non si può attribuire al depositum fidei tutto ciò che si è sedimentato nella storia; lo spirito del tempo e le suo derive culturali sono cosa assai diversa dai “segni del tempi” che il concilio ha indicato come necessari per comprendere l’agire di Dio nella storia umana.

La buona riuscita del sinodo è rilevante per la Chiesa e l’intera società tedesca e di buon auspicio per il sinodo universale (2023-2024).

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